Dopo private market e wealth ora entra in una società di capital management
di Lucio Sironi
Rileva il 35% di Kcm e replica il suo modello negli Stati Uniti. Oltre metà delle masse gestite ora fa capo a investitori non italiani. Giuliani: le sole attività in Australia e Brasile valgono la metà del gruppo
Metà dei capitali gestiti da Azimut provengono dall’estero. Con l’acquisizione annunciata ieri di una quota del 35% in Kennedy Capital Management (Kcm), gestore indipendente specializzato in azioni statunitensi small e mid cap, il gruppo italiano raggiunge un traguardo, quello del perimetro internazionale, perseguito da almeno un decennio e che ha portato la realtà presieduta da Pietro Giuliani in quasi tutti i continenti.
Costituita nel 1980 con sede a St. Louis (Missouri), Kcm è una società di investimento specializzata in prodotti azionari statunitensi che puntano sulle pmi e che gestisce 3,6 miliardi di dollari. Con questa mossa Azimut, come ha fatto in passato in altri Paesi, replica negli Stati Uniti il suo modello che la vede operare in tre principali aree di business: private markets attraverso Azimut Alternative Capital Partners (cinque partecipazioni che gestiscono oltre 16 miliardi di dollari); wealth management attraverso Sanctuary Wealth, Azimut Genesis e Az Apice (patrimonio totale di quasi 25 miliardi); e ora asset management tradizionale. «La partnership con Kcm ci consente di integrare nella piattaforma globale di asset management competenze gestionali che sono best in class nelle strategie small mid cap public markets negli Stati Uniti, segmento che include società con capitalizzazione sino a 15 miliardi di dollari, completando la nostra ampia offerta di strategie tradizionali e alternative. I nostri clienti potranno beneficiare delle capacità di investimento di Kcm, che hanno un track record senza pari su tutti gli orizzonti temporali», afferma Giorgio Medda, ceo e global head of asset management & fintech.
Il presidente Giuliani rimarca l’importanza che il mercato americano sta assumendo nel gruppo: qui si sono rivolte le maggiori attenzioni e gli investimenti degli ultimi anni. «Avere metà della clientela oltre i confini italiani ci dà un profilo internazionale che nessuno dei nostri concorrenti italiani può vantare», osserva.
«Quanto ci è costato tutto questo? Di certo assai meno di quanto ci sta rendendo. Non lo abbiamo in programma, ma se volessimo portare in borsa attività come quelle che abbiamo messo insieme per esempio in Australia, potremmo ambire, secondo valutazioni indipendenti basate su comparazioni di settore, a un valore di 400 milioni. Per il Brasile si parla addirittura di 800 milioni. Solo queste due equivarrebbero a metà della nostra attuale capitalizzazione. E la realtà che stiamo costruendo tassello dopo tassello negli Stati Uniti non vale meno del Brasile».
Si torna così al tema della sottovalutazione di Azimut rispetto ai competitor, in confronto ai quali, ribadisce, «continuiamo a guadagnare di più e a valere molto meno». Lato clientela, aggiunge il presidente, la strategia internazionale «ci ha consentito di diversificare di più, di contare su maggiori competenze sui vari mercati mondiali, ottenendo quest’anno una performance media per i sottoscrittori dei nostri fondi superiore del 3% alla media degli altri prodotti». (riproduzione riservata)
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