di Mauro Masi*

Qualche tempo fa Honda subì un attacco informatico alla rete aziendale che compromise gravemente le operazioni in tutto il mondo; alcuni stabilimenti furono costretti a chiudere e il servizio assistenza clienti si dovette fermare per molti giorni. Secondo la casa di Tokyo, il problema aveva riguardato server, sistemi di posta elettronica e programmi interni infettati da un virus informatico introdotto da un attacco da più hacker. Circa due anni fa fece scalpore il fatto che l’Fbi -grazie a un azienda che utilizzava alcuni dei più abili hacker del mondo- fosse riuscita ad aprire lo smartphone dell’autore della strage di San Bernardino contro la volontà di Apple, che intendeva così dare un segno di come tutelasse la privacy dei propri clienti. Due esempi di natura opposta che indicano come il fenomeno hacker può avere declinazioni sicuramente negative, ma anche positive. Cos’è un hacker? Il termine è un inglesismo connesso a crimini informatici. Indica qualcuno che riesce a inserirsi in un sistema o in una rete senza (o addirittura, contro) la volontà dei legittimi gestori. Anche involontariamente, alcuni hacker hanno contribuito a rendere più sofisticati ed efficaci i sistemi di sicurezza di rete così come importante è stato ed è il loro rapporto con il movimento open source. Di recente, Elon Musk ha assunto «per migliorare Twitter» uno dei più quotati hacker mondiali, George Hotz. Il gruppo Anonymous ha rivendicato nel tempo una serie di spettacolari azioni di disturbo in rete anche a siti istituzionali italiani (nonché qualche anno fa la chiusura per molte ore del sito web ufficiale del Vaticano). Ma l’attività degli hacker può andare molto al di là di queste azioni, a volte più di immagine che di sostanza, ed entrare in territori di ben altra rilevanza e pericolosità. Secondo infatti uno studio di Security Defense Agenda – Sda (il principale think-tank specializzato nel settore con base a Bruxelles) il 57% degli esperti mondiali di sicurezza informatica ritiene che sia in atto una «corsa agli armamenti informatici» in vista di una possibile cyber-war, una guerra informatica. che potrebbe già essere iniziata: secondo media Usa di solito molto ben informati, la Nato avrebbe segnalato in un report che il numero d’attacchi ai siti di Congresso e Agenzie governative Usa è cresciuto in maniera esponenziale, si parla addirittura di 1,6 milioni d’attacchi al mese. Il tema riguarda soprattutto la sicurezza tra Stati ma è crescente anche la guerra cibernetica tra privati e tra aziende, che non a caso da tempo investono miliardi di dollari all’anno per difendersi. C’è da chiedersi quanto i riflessi di questa guerra influenzino l’atteggiamento di alcune grandi lobby economiche mondiali (quella delle industrie high-tech o delle tlc) nei confronti della rete e d’un’eventuale regolamentazione a livello internazionale. (riproduzione riservata)

*delegato italiano alla Proprietà intellettuale
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