MANOVRA 2023/ TUTTE LE MISURE IN MATERIA DI PENSIONI PREVISTE DALLA LEGGE DI BILANCIO
di Leonardo Comegna
Nel 2023, al posto di Quota 102, in scadenza al 31 dicembre, ci sarà Quota 103. Mentre quest’anno si poteva anticipare il pensionamento avendo 64 anni d’età e 38 di contributi, l’anno prossimo si potrà farlo combinando 62 anni di età e 41 di contributi. Ma con tre mesi di ritardo rispetto al raggiungimento dei requisiti. Per essere più chiari, chi raggiungerà 62 più 41 alla fine del 2022, potrà ritirarsi solo a partire da aprile 2023. L’ormai famosa “finestra mobile” è addirittura di sei mesi per i dipendenti pubblici, che salirebbero a 7 per chi matura i requisiti entro il 31 dicembre 2022. Chi però, pur avendo maturato i requisiti, deciderà di rimanere al lavoro incasserà un consistente aumento in busta paga, il 33% della contribuzione che il datore di lavoro non verserà più all’Inps ma direttamente al lavoratore. E’ quanto prevede la bozza della legge di Bilancio per il 2023, approvata lunedì scorso dal consiglio dei ministri.
Le fasce dell’indicizzazione. L’importo della pensione che verrà liquidata con Quota 103 non potrà superare 5 volte il trattamento minimo, fino al compimento dei 67 anni. Una cifra che dovrebbe aggirarsi sui 2.850 euro, se i calcoli avranno come base il trattamento minimo che scatterà dal primo gennaio 2023 (rivalutato al 120% dell’inflazione). Oppure, il tetto sarà di 2.627 euro, se invece si prenderà come parametro il trattamento minimo di quest’anno, come pare intenzionato il Tesoro. Il tetto interessa quindi solo chi ha maturato una pensione elevata. La nuova combinazione si aggiungerà agli altri previsti dalla legge Fornero. Cioè 67 anni e 20 anni di contributi (pensione di vecchiaia) oppure 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi di contributi le donne) a prescindere dall’età anagrafica (pensione anticipata). Va qui ricordato che anche nel biennio 2023-2024 non si verificheranno adeguamenti alla speranza di vita Istat.
Bonus Maroni. Torna, infine, quello che il governo ha ribattezzato “bonus Maroni”, in ricordo dell’ex ministro del Lavoro appena scomparso, che lo introdusse nel 2004. Secondo la nuova versione, il lavoratore che rinuncerà al pensionamento anticipato avrà uno stipendio più alto di circa il 33%.
Giovani penalizzati. La generazione tra il 1985 e il 1987, specie coloro che lavorano in proprio, con questo sistema pensionistico e senza possibilità di accesso a forme di pensione anticipata, dovranno attendere oltre i 70 anni per starsene a casa. Infatti, potrebbero avere accesso alla pensione di vecchiaia a 67 anni, cui va aggiunto l’incremento legato all’aspettativa di vita (si prevede 3 anni e 10 mesi in più nel 2050) e il ritardo per la finestra, altri tre mesi.
Prospettive future. Giovani e previdenza complementare dunque.
Sono queste le riforme strutturali su cui deve puntare il nuovo Governo. Con particolare riguardo all’assetto del sistema, nel pieno rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici, della sostenibilità del debito e dell’impianto contributivo del sistema. Occorrerà quindi trovare soluzioni che consentano “forme di flessibilità in uscita” ed un rafforzamento della previdenza complementare”. Senza dimenticare “le prospettive pensionistiche delle giovani generazioni”.
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