di Anna Messia
L’appuntamento è per martedì 8 novembre, quando la Corte Costituzionale si riunirà per decidere su una questione che tiene con il fiato sospeso sia il settore del credito al consumo sia quello della cessione del quinto. Perché si tratta di una pronuncia che vale 5 miliardi di euro di giro d’affari e potrebbe mettere a rischio la stabilità di più di qualche impresa del comparto.
I giudici della Corte dovranno dire la loro sulla sentenza Lexitor, che prende il nome dalla società polacca che offre servizi ai consumatori rilevando i diritti di credito che essi vantano verso gli istituti bancari, e che si è rivolta ai giudici europei. Un ricorso che ha fatto molto rumore nel Vecchio Continente perché la corte di Giustizia europea, con la cosiddetta sentenza Lexitor (C-383/ 18 dell’11 settembre del 2019) ha interpretato in senso decisamente restrittivo la direttiva europea che nel 2010 aveva sancito il principio che, in caso di rimborso anticipato del credito da parte del consumatore, quest’ultimo ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto. Secondo i giudici europei il diritto di rimborso spettante al consumatore non si deve limitare ai soli costi e interessi già corrisposti e relativi alla quota di credito non goduta (i cosiddetti oneri recurring), ma deve comprendere altresì i costi iniziali, riferiti al contratto nel suo complesso, come le spese di istruttoria o le provvigioni di agenzia (i cosiddetti oneri upfront). E di conseguenza, a luglio del 2021, con il decreto Sostegni Bis è stato modificato anche il Testo Unico Bancario per tenere conto della sentenza Lexitor e ampliare la portata dei rimborsi cui gli operatori italiani si sono ovviamente allineati. Norma che vale però solo per i contratti che sono stati sottoscritti dal 25 luglio dello scorso anno in poi. In altri termini il governo di Mario Draghi ha recepito nell’ordinamento italiano la sentenza della Corte di Giustizia Europea, limitandone però l’impatto retroattivo, riconoscendo evidentemente il potenziale di destabilizzazione di un provvedimento che avrebbe avuto effetti anche sui vecchi contratti. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che i giudici della Corte dovranno pronunciarsi l’8 novembre, dopo che il Tribunale di Torino ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma italiana che ha escluso la retroattività. In ballo ci sono cifre enormi con il rischio di destabilizzare una parte del settore. Nel caso in cui la Corte ritenesse di dover dichiarare illegittima la norma introdotta dal Governo Draghi, oltre al danno reputazionale, ce ne sarebbe uno economico non meno pesante. Analizzando solo il comparto del credito al consumo si stima che, considerando i 10 anni di retroattività, sarebbero circa 12 milioni i contratti a cui dovrebbero essere riconosciuti degli indennizzi retroattivi, con un onere a carico del sistema finanziario stimabile in 2,6 miliardi (222 euro per contratto). A questo va aggiunto il conto per il settore della cessione del quinto, dove i contratti coinvolti sarebbero circa 2,2 milioni per un ammontare medio di 1.000 euro e un onere della retroattività a carico delle banche che detengono in portafoglio questi crediti stimabile in 2,2 miliardi. Tanto che ci vorrebbero circa 22 anni di utili futuri per compensare lo shock derivante dalla eventuale retroattività di Lexitor sulla cessione del quinto. Numeri allarmanti, con 28 mila intermediari del credito coinvolti e gli operatori del settore pronti a organizzare, venerdì 4 novembre un webinar, promosso da Ufi, l’associazione di categoria degli Intermediari operanti nella cessione del quinto, presieduta da Vieri Bencini, per alzare l’attenzione sui rischi legati a questa delicata sentenza. (riproduzione riservata)
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