di Claudia Cervini MF-DowJones
La congiuntura macroeconomica e il contesto geopolitico pesano sulle pmi: aumentano quelle a rischio di vulnerabilità e al contempo si amplia il divario tra le imprese sane e quelle «zombie», ovvero già in difficoltà e non in grado di operare secondo le condizioni di mercato. E’ quanto emerge dal Rapporto Cerved Pmi 2022, lo strumento di analisi della condizione economico-finanziaria delle pmi italiane (160.000 quelle prese in esame). In base all’indice di rischio prospettico di Cerved, nello scenario peggiore – escalation del conflitto russo-ucraino, blocco delle forniture di gas, mancata implementazione del Pnrr – le pmi in area di sicurezza si ridurrebbero infatti dall’attuale 46,7% al 35,7% mentre quelle rischiose salirebbero dal 5,7% al 7,5% e quelle vulnerabili dal 13,9% al 20,8%.
Chi non adotterà provvedimenti per mitigare i rischi fisici legati ai cambiamenti climatici avrà nel 2050 il 25% in più di probabilità di default rispetto a oggi, e il 44% in più di chi invece investe fin da ora. Non solo: per le imprese ad alto rischio fisico (oltre l’8%) si prospetta al 2050 una quota di costi annui per la ricostruzione pari all’1,6% dell’attivo e un aumento dei premi assicurativi fino al 3% del fattura.
Cerved stima che l’indebitamento aggiuntivo delle imprese in condizioni di sicurezza sia di circa 81 miliardi. Chi non interverrà sui rischi fisici legati alla crisi climatica avrà nel 2050 il 25% in più di probabilità di default rispetto a oggi e il 44% in più di chi investe.
«Complessivamente, l’investimento che le pmi dovrebbero sostenere per finanziare fin da ora il processo di transizione è di circa 135 miliardi di euro entro il 2030 (cioè il 47% dello stock delle immobilizzazioni materiali dichiarato nel 2020 e il 12,8% dell’attivo)», commenta Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved. Abbiamo stimato, però, che l’indebitamento aggiuntivo in condizioni di sicurezza delle pmi italiane sia di circa 81 miliardi di euro, quindi oltre la metà degli investimenti necessari potrebbe essere finanziata con un aumento dell’indebitamento senza un impatto significativo sulla solidità finanziaria: una sfida che le imprese, con il supporto intelligente del sistema bancario, sono ampiamente in grado di affrontare».
Analizzando il rischio di default delle pmi per macrosettori, nello scenario peggiore Cerved nota che nell’industria e nei servizi le quote di imprese in area di sicurezza calano rispettivamente di 13,8 e 11,6 punti percentuali (da 58,7% a 44,9% e da 45,4% a 33,8%). È l’industria a registrare il maggior numero di aziende che entrano in area di rischio (+5,1% se si considerano i debiti finanziari), mentre nei servizi crescono quelle in area di vulnerabilità (+8,5%, e +12,8% considerando i debiti finanziari). Particolarmente contenuto è invece l’impatto per il settore delle costruzioni.
Il settore con la maggiore crescita stimata, cumulata nel biennio 2022-2023, è quello agricolo (+6,7%), seguito da costruzioni (+4,7%) e servizi (+4,5%). L’industria si ferma a +2,5%. Un altro effetto del peggioramento della congiuntura è il riacutizzarsi del divario tra le imprese «zombie» e il resto del sistema di pmi. Al momento ne risultano attive 13.851 (3.759 in più rispetto al 2021, quando invece erano calate di 6.708 unità). I dati del primo semestre 2022 mettono in evidenza che le incidenze di gravi ritardi nei pagamenti e le quote di rischio sono molto più elevate tra le imprese zombie, con un divario in crescita rispetto al 2020-21: esse infatti pagano in media 10 giorni dopo i termini concordati, contro i 6,8 giorni del resto delle pmi. (riproduzione riservata)
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