C’è un tesoretto nascosto di quasi 50 miliardi di euro che, senza grande sforzo, potrebbe essere messo a disposizione della crescita di Piazza Affari e dell’intero Paese. Risorse che già oggi sono generate da investitori italiani ma che finora sono andate altrove, spesso all’estero. Una pioggia di risparmi che potrebbe andare al mercato borsistico tricolore e alle imprese italiane se solo le compagnie assicurative, i fondi pensione e le casse previdenziali della Penisola si comportassero come fanno, in larga parte, i loro omologhi europei. Cioè investendo in imprese nazionali. Ecco qualche numero che fotografa l’attuale situazione e che dà la misura delle potenzialità: nel 2021, le assicurazioni Italiane hanno investito solo il 5,9% del patrimonio in azioni e fondi azionari. Una percentuale che in Europa sale, in media, al 39,5% del totale investito dalle compagnie mentre le compagnie italiane continuano a puntare la gran parte delle loro risorse Btp.

E non è solo questione di assicuratori, che pure in questo quadro hanno il peso più rilevante. Un trend simile si riscontra anche per i fondi pensione e le casse previdenziali. I dati raccolti da Covip, l’autorità di controllo del settore, dicono che i fondi pensione italiani prediligono gli investimenti esteri, che ammontano a 124 miliardi di euro, contro appena 40 miliardi riservati agli investimenti domestici. Un paradosso se si pensa che i lavoratori italiani risparmiano per la vecchiaia andando a finanziare le imprese estere concorrenti di quelle per cui lavorano. Pure le Casse previdenziali dei professionisti, secondo gli ultimi dati comunicati dalla Commissione sul 2021, hanno puntato solo 7,6 miliardi sulle imprese italiane. Briciole rispetto al loro ingente patrimonio salito alla fine dello scorso anno a poco meno di 108 miliardi.Come si arriva alla stime dei 50 miliardi che potrebbero essere immessi sui mercati borsistici? Una buona parte di questi flussi arriverebbe se la componente azionaria delle riserve tecniche vita delle assicurazioni passasse, per esempio, da 5,9% attuale al 10%, con un apporto di circa 33,7 miliardi, considerando gli investimenti complessivi del settore pari a circa 800 miliardi (che salgono a 1.000 considerando anche le polizze di tipo unit linked). Altri 10,5 miliardi si potrebbero aggiungere qualora i fondi Pensione decidessero di destinare il 30,8% degli investimenti domestici al comparto azionario, allineandosi alla medesima percentuale dedicata agli investimenti in azioni estere; mentre se le Casse previdenziali arrivassero a dedicare il 22,6% del loro patrimonio all’investimento in titoli di capitale (la stessa percentuale applicata ai fondi pensione) si potrebbero generare ulteriori risorse per 5,4 miliardi, arrivando così a ridosso dei 50 miliardi di euro.

«Considerando che la capitalizzazione della borsa di Milano attualmente si aggira intorno ai 700 miliardi, un incremento di investitori istituzionali di lungo termine, che in 4 o 5 anni investano circa 50 miliardi, potrebbe cambiare radicalmente la struttura patrimoniale delle imprese italiane», osservano dall’ufficio studi di Ambromobiliare, dove ricordano che assicurazioni e fondi pensione sono gli unici veri investitori istituzionali di lungo termine, che finora non hanno però avuto un ruolo determinante per la crescita dell’economia italiana e della borsa.

Eppure la volontà di guardare al lungo termine e di sostenere l’Italia non sembra mancare tra questi investitori. Non è un caso che la presidente dell’Ania, Maria Bianca Farina, nell’ultima relazione annuale dell’associazione delle compagnie di assicurazione, abbia sottolineato il ruolo delle compagnie come «grandi investitori istituzionali, orientati verso investimenti sostenibili di medio-lungo termine», ricordando allo stesso tempo il successo dell’iniziativa di un «Fondo per gli investimenti infrastrutturali, arrivato al closing finale con una raccolta di 516 milioni, ben oltre il target iniziale» promosso dall’Ania stessa che ha acquistato per esempio il 92,5% del capitale della Compagnia Ferroviaria Italiana.

Anche Assofondipensione, l’associazione che raccoglie i fondi pensione negoziali presieduta da Giovanni Maggi, ha lanciato più di qualche iniziativa, insieme a Cassa Depositi e Prestiti, per tentare di convogliare il risparmio previdenziale verso l’economia reale italiana: prima con i fondi di private equity (che ha raccolto 460 milioni di euro) e private debt (da 340 milioni), e ora con l’avvio di un nuovo prodotto dedicato alle infrastrutture che punta a 300 milioni il cui debutto è previsto all’inizio dell’anno prossimo.

Ma come visto i numeri restano esigui rispetto alle potenzialità, e a frenare la crescita ci sono anche ragione regolamentari. Ania, per esempio, chiede da tempo di consentire alle gestioni separate assicurative di investire in Pir, i piani individuali di risparmio introdotti nell’ordinamento italiano con la legge di stabilità 2017 per aumentare gli investimenti nelle aziende italiane da parte dei privati. «Ciò determinerebbe una spinta al flusso di risparmio diretto verso il sistema produttivo, mai così essenziale», ha sottolinato Farina ricordando, che «più in generale, occorre incentivare gli investimenti a lungo termine nell’economia reale e sotto questo profilo, la riforma di Solvency II, tuttora in corso, offre l’opportunità di rafforzare gli strumenti anti-ciclici previsti dalla normativa e definire un assetto regolamentare più favorevole».

Qualche progresso, da quest’ultimo punto di vista, in verità è già stato fatto, aggiungono ancora da Ambromobiliare ricordando che «la nuova impostazione di Solvency II prevede agevolazioni in termini di accantonamento del patrimonio per gli investimenti azionari di lungo periodo (con obblighi di accantonamento che scendono dal 39/49 al 22%) al verificarsi di alcuni requisiti e questo «potrebbe indurre le compagnie assicurative a dedicare maggiori risorse alle imprese italiane» in aggiunta al fatto che «la possibilità di classificare come investimenti a lungo termine non solo gli investimenti azionari diretti ma anche gli investimenti tramite fondi, attraverso il cosiddetto. «metodo look-through», permetterebbe alle assicurazioni di assumere un ruolo strategico nella crescita del paese.

Cosa fare quindi per accelerare gli investimenti di assicurazioni e fondi pensione nell’economia reale rimasti finora scarni? «Per le assicurazioni servirebbe un’applicazione seria della direttiva Solvency II che consente di investire in azioni quotate a lungo termine con basso assorbimento di capitale», concludono dalla società presieduta da Alberto Franceschini, «mentre per i fondi pensione sarebbe utile l’utilizzo dei fondi Pir fino al 10% del patrimonio». (riproduzione riservata)

Cimbri: Unipol punterà sulle imprese italiane
di Anna Messia
Le assicurazioni hanno finora sostenuto l’Italia detenendo una fetta decisamente rilevante del debito pubblico italiano, ma ora sarebbe importante sostenere anche direttamente l’economia nazionale, investendo di più in infrastrutture e imprese della penisola, in uno scenario economico che è rapidamente mutato, con la ripresa dei tassi d’interesse e dell’inflazione. Parola del presidente di Unipol, Carlo Cimbri, che a MF-Milano Finanza dice di essere convinto che il rialzo dei prezzi a cui stiamo assistendo non sarà solo una breve fiammata dettata dai rincari energetici provocati dalla guerra in Ucraina ma sarà destinato a durare qualche anno.

Domanda. Nonostante il calo programmato, i Btp rappresentano ancora il 35,9% degli investimenti di Unipol con i titoli obbligazionari che complessivamente valgono il 79,7%. Come vi riposizionerete nel nuovo scenario?

Risposta. Bisognerà adattarsi ad una nuova realtà dettata dalla ripresa dei tassi d’interesse e, in questo scenario, vedo con favore un sostegno diretto all’economia italiana. L’acquisto dei Buoni del tesoro pluriennali è una forma di sostegno all’Italia e al suo debito pubblico ma il settore assicurativo, che investe in un’ottica di medio-lungo termine, può avere un ruolo determinante anche per puntare più direttamente sulle imprese e sulle infrastrutture italiane, e l’aumento dei tassi d’interesse potrebbe accelerare questo processo.

D. Cosa comporta per le compagnie di assicurazione il rialzo dei tassi d’interesse?

R. Di per sé, tassi più alti non sono un problema per la nostra industria, ma è invece cruciale la velocità del rialzo in uno scenario in cui c’è anche una forte spinta inflattiva.

D. E l’inflazione come cambierà il business?

R. E un fenomeno mai vissuto prima dalle nuove generazioni e tra l’altro la mia impressione è che non sarà qualcosa che si debella in un anno, tornando rapidamente all’1%. Sarà probabilmente più lungo e dovremo imparare a convivere con l’inflazione per i prossimi 2-3 anni. Forse non a questi livelli ma neppure a quelli di un anno fa, e molto dipenderà dalle politiche delle banche centrali. Mentre per quanto riguarda il settore assicurativo, parlando per dell’auto l’inflazione incide sui costi di riparazione ma anche inevitabilmente sui prezzi che sono in deficit tecnico rispetto a quelli che dovrebbero essere. (riproduzione riservata)

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