Dallo scorso anno – e presumibilmente anche nella prossima edizione dell’indagine − la dimensione del disagio sociale e personale, solitamente articolata in 8 indicatori statistici, si arricchisce di 3 ulteriori indicatori, al fine di catturare l’effetto determinato dall’attuale crisi pandemica. Gli indicatori considerati a livello provinciale sono la variazione nella mortalità registrata nel periodo 1° gennaio-31 luglio 2021 fra gli individui di età inferiore a 65 anni rispetto alla media quinquennale registrata fra il 2015 e il 2019, sempre con riferimento ai primi sette mesi dell’anno; lo stesso indicatore calcolato con riferimento agli individui di età maggiore o uguale a 65 anni; l’incidenza dei casi registrati di Covid-19. Naturalmente, l’inserimento di tali indicatori non consente di fornire una valutazione complessiva dell’impatto della pandemia, che ovviamente si esplica su tutte le dimensioni della qualità della vita. Una valutazione più accurata potrà essere effettuata soltanto quando saranno disponibili nuove e più aggiornate informazioni statistiche.
Non sorprendentemente, l’inserimento dei tre indicatori relativi all’impatto pandemico determina un radicale mutamento della classifica relativa alla sicurezza sociale. La provincia che quest’anno apre la classifica è Matera, con scala ben 53 posizioni rispetto allo scorso anno, seguita da Agrigento e dalle tre province campane di Avellino, Salerno e Caserta. Da segnalare in particolare Agrigento, che si piazza al secondo posto con un salto di 90 posizioni in classifica.
Come abbiamo già notato nella passata edizione, le province del sud tornano a figurare nel gruppo di testa, invertendo una tendenza consolidatasi per quasi un decennio. Nel complesso, ad essere ricomprese nelle posizioni di eccellenza sono 27 province, 4 in più rispetto alla passata edizione, di cui 16 dislocate nel Mezzogiorno, ben 10 in più rispetto allo scorso anno.
Nel raggruppamento di testa sono ricomprese 5 province del nord-ovest, una in più rispetto alla passata edizione, di cui Cremona, Bergamo e Lodi in Lombardia; Imperia e Genova in Liguria, mentre le province del Piemonte non figurano più in posizioni di testa. Notevole in particolare il risultato della Lombardia, in quanto si piazzano nelle posizioni di testa le province maggiormente colpite lo scorso anno dalla prima ondata della pandemia. Il nord est azzera la sua presenza nelle posizioni di vertice, dopo aver già visto nettamente ridimensionata la sua presenza lo scorso anno. Inoltre, figurano nel gruppo di testa 6 province dell’Italia centrale (due in meno rispetto allo scorso anno), di cui Massa-Carrara in Toscana e le cinque province del Lazio. L’Italia meridionale e insulare, come detto, è rappresentata da 16 province: Chieti in Abruzzo; Isernia in Molise; 4 delle 5 province campane, ad eccezione di Napoli; Brindisi in Puglia; le due province della Basilicata; le cinque province della Calabria; Agrigento e Trapani in Sicilia.
Con riferimento alle 21 province classificate nel gruppo di coda, risultato stabile rispetto alla passata edizione, è degna di nota la presenza di ben 11 province dell’Italia settentrionale, virtualmente assenti nel gruppo di coda nell’ultimo decennio. Sono censite nelle posizioni di coda una provincia del nord ovest, contro le 5 dell’anno passato (La Spezia in Liguria), 10 province del nord est, 7 in più rispetto allo scorso anno (Bolzano in Trentino-Alto Adige; Belluno in Veneto; Udine in Friuli-Venezia Giulia; tutte le province dell’Emilia-Romagna ad eccezione di Ferrara e Parma), 5 province situate in Italia centrale (Lucca e Prato in Toscana; Perugia in Umbria; Pesaro-Urbino e Ancona nelle Marche) e le restanti nell’Italia meridionale e insulare (Pescara in Abruzzo; Foggia, Taranto e Bari in Puglia; Nuoro in Sardegna).
La provincia che chiude la classifica è Ancona.
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