Anna Messia
Dopo 15 anni di rinvii e discussioni il nuovo principio contabile internazionale sui contratti assicurativi, l’Ifrs 17, è diventato legge con la pubblicazione, nei giorni scorsi, nella Gazzetta Ufficiale Europea. Si parte quindi con il nuovo standard contabile che entrerà in vigore dal primo gennaio 2023 ma già dal prossimo il vecchio e il nuovo sistema inizieranno a correre paralleli. Da tempo le compagnie hanno quindi iniziato a lavorare per allinearsi al principio e a calcolarne gli effetti che promettono di essere dirompenti. Con l’attuale sistema (Ifrs4) i premi assicurativi sono considerati ricavi per le imprese. Con il nuovo si trasformeranno in debiti e la lettura del conto economico sarà completamente diversa, più simile a quello delle banche, contabilizzando solo il margine che deriva dai contratti. La rappresentazione contabile delle imprese assicurative diverrà market consistent, cioè coerente con l’andamento dei mercati finanziari, come è già oggi per Solvency II per la componente patrimoniale delle compagnie. Ora tocca anche al conto economico, che potrebbe restituire un utile anche molto diverso da quello attuale.
Gli interrogativi maggiori riguardano però i costi. Secondo l’ultima indagine realizzata da Willis Towers Watson tra 312 assicuratori mondiali per implementare gli standard Ifrs 17, a livello globale, le compagnie dovranno spendere tra 15 e 20 miliardi di dollari. Una cifra enorme, pari a 175-200 milioni per le multinazionali e ad una ventina di milioni per le altre imprese più piccole, e saranno necessari più di 10 mila dipendenti che dovranno dedicarsi a tempo pieno al nuovo standard. Secondo le prime stime dell’Ania, l’associazione guidata da Maria Bianca Farina, solo per l’Italia le assicurazioni dovranno spendere una somma compresa tra 600 e 700 milioni. La stessa Efrag (l’organismo di consultazione dell’Unione incaricato di avviare le pratiche di recepimento dei principi contabili internazionali) nel realizzare la sua analisi di impatto del nuovo principio ha previsto un costo per le compagnie europee più grandi di 2,33 miliardi di euro, cui aggiungere 744 milioni del Regno Unito (che, in teoria, ora che è fuori dall’Ue potrebbe decidere anche di non applicare il nuovo principio). Numeri che inizieranno a emergere nei prossime mesi. Mentre, guardando ai possibili benefici che il nuovo sistema potrà portare sono quelli di una maggiore confrontabilità dei bilanci all’interno del settore assicurativo, che oggi ha regole disomogenee, incrementando trasparenza e competitività e facendo incrementare l’afflusso di capitali verso il comparto. Insomma lo sforzo, anche economico, potrà essere ripagato da nuove opportunità anche se non mancano neppure dubbi interpretativi.
Il nuovo Ifrs17 fissa dei principi generali, ma lascia discrezionalità alle imprese sull’applicazione su più di qualche aspetto. Per esempio sul tasso di attualizzazione da applicare ai premi, che le compagnia potranno fissare in autonomia in base alla loro valutazione della rischiosità, a differenza di Solvency II che invece lo definisce a priori. Il timore è che le singole imprese si muovano in ordine sparso creando disparità, riducendo la confrontabilità dei bilanci e un’anomala competizione tra Paesi. L’altro grande tema dell’Ifrs17 è poi legato fatto che il nuovo principio contabile ha introdotto le cosiddette coorti annuali. Si tratta del raggruppamento dei contratti assicurativi al cui interno compensare profitti e perdite: ma mentre le perdite di un’annualità dovrebbero essere immediatamente recepite nel conto economico, i profitti sarebbero ripartiti per la durata dei contratti. Un sistema penalizzante soprattutto per le imprese che operano nel ramo vita tradizionale (le gestioni separate) come le compagnie italiane e sui cui si è venuto a creare a uno scontro mai visto prima tra i membri dell’Efrag, con una metà a favore e l’altra metà contraria. La soluzione individuata per uscire dall’impasse che rischiava di far saltare il principio dopo 15 anni di lavori è stata quella di consentire la non applicazione delle coorti annuali per alcuni tipi di contratti, il cosiddetto carve out. Le gestioni separate potranno quindi rimanere fuori dal raggruppamento e compagnie come Generali o Unipol sembrano pronte a cogliere l’opportunità di questa esenzione.
Del resto, hanno chiarito da Ania, «le coorti annuali non consentono di valutare correttamente il business dei prodotti con partecipazioni agli utili» come appunto le gestioni separate. Ma anche qui ci sono due questioni ancora da sciogliere. Il rischio è che il mercato premi le compagnie che scelgono la linea del rigore, applicando le coorti annuali a tutto il portafoglio prodotti e in ogni caso l’esenzione varrà solo fino al 2027 e non si sa cosa avverrà dopo. (riproduzione riservata)
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