LA BANCA CHIUDE IL TERZO TRIMESTRE CON UN UTILE DI 983 MILIONI, SUPERIORE ALLE STIME
di Luca Gualtieri
Intesa Sanpaolo archivia un trimestre al di sopra delle stime del mercato e si prepara al nuovo piano industriale, atteso per febbraio. Il gruppo guidato da Carlo Messina ha chiuso il periodo giugno/settembre con un utile netto di 983 milioni, un numero non confrontabile con i 3,8 miliardi dello stesso periodo del 2020 (che includevano il goodwill negativo per l’acquisizione di Ubi) e comunque al di sopra dei 798 milioni previsti dal consensus. Passando alle altre voci di conto economico, i proventi operativi netti sono saliti del 15,4% a 15,9 miliardi, gli interessi netti si sono attestati a 6 miliardi (+7,2%) e le commissioni nette sono cresciute a 7,1 miliardi (+23,6%). In aumento del 13,1% a 7,9 miliardi i costi operativi, anche se il cost/income sceso al 50,1%. Nei nove mesi invece i profitti si sono attestati a 4 miliardi, in calo del 37,2% rispetto al risultato contabile di un anno prima. Sul fronte della solidità patrimoniale, il Cet1 al netto dei dividendi maturati si è attestato al 14,3% in base ai criteri transitori in vigore nel 2021 (il dato pro forma a regime è al 15,1%) mentre, in tema di asset quality, le rettifiche nette su crediti si sono sostanzialmente dimezzate a 1,5 miliardi, inclusi 360 milioni su specifici portafogli per accelerare la riduzione dei crediti deteriorati. Complessivamente Intesa ha ridotto i crediti deteriorati lordi di circa 47 miliardi dal picco di settembre 2015 e di circa 34 miliardi dal dicembre 2017, superando in anticipo, per circa 8 miliardi, l’obiettivo di riduzione pari a circa 26 miliardi previsto per l’intero quadriennio del piano di impresa 2018-2021. L’incidenza dei crediti deteriorati sui crediti complessivi a settembre 2021 è stata pari al 3,8% al lordo delle rettifiche di valore e al 2% al netto. Come previsto, il cda ha deliberato la distribuzione di un acconto sul dividendo da 1,4 miliardi, pari a 0,0721 euro per azione, che sarà pagato il 24 novembre con stacco cedola il 22. La decisione è stata presa «non sussistendo controindicazioni derivanti dai risultati prevedibili per il quarto trimestre 2021 né raccomandazioni dei regolatori in merito ai requisiti patrimoniali applicabili a Intesa che ostino a tale distribuzione».
Le previsioni? Avendo già raggiunto a settembre l’obiettivo minimo di un utile di 4 miliardi nel 2021, «nel quarto trimestre saremo in una posizione confortevole per migliorare la redditività e considerare azioni manageriali per porre le fondamenta per il nuovo piano industriale», ha dichiarato il ceo Messina, aprendo la conference call con gli analisti per la presentazione dei conti. Il banchiere ha definito i risultati dei nove mesi «eccellenti», i migliori dal 2008 sul fronte dell’utile e i migliori di sempre (insieme al trimestre) sul fronte dei ricavi grazie a commissioni record. Nel corso della presentazione Messina si è soffermato anche sul nuovo piano, atteso per il mese di febbraio: «Il mio obiettivo è avere, nel prossimo piano industriale, un costo del rischio principalmente collegato a nuovi flussi di crediti deteriorati», ha puntualizzato il banchiere, sottolineando la necessità di «ridurre le rettifiche relative allo stock, in modo da avere un impatto davvero limitato dallo stock di npl». Se insomma la crescita sarà prevalentemente per linee interne, il ceo ha escluso grandi operazioni di m&a: per Intesa non ci sarà nessun m&a transformational, cioè capace di trasformare radicalmente il perimetro della banca. «Non è assolutamente tra i piani possibili di Intesa Sanpaolo. Tanto più che, in un ambiente cross border, ancora coi limiti e vincoli che esistono in ogni singolo Paese, creare valore con un’operazione di m&a attraverso sinergie è difficile». Quanto all’evoluzione del sistema bancario italiano, Messina si è detto d’accordo con la scelta di governo di ridurre il bonus fiscale sulle dta: «Credo che sia possibile trovare combinazioni di mercato creando sinergie e se si riesce a creare operazioni che creano valore per gli azionisti non vedo perché si debba godere di sussidi da parte del governo». Lo stop alla vendita di Mps? Siena «è nelle mani del governo italiano, quindi non può essere considerata un rischio sistemico». Anche se «per il sistema bancario avere tre banche forti e di dimensioni significative nel nostro Paese credo che sia un valore per tutti». Tradotto: servirebbe un terzo polo.(riproduzione riservata)
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