di Ida Cortoni
Giovani e social durante il periodo pandemico, quale ritratto generazionale? Quale ruolo hanno assunto i media nella gestione della quotidianità dei ragazzi? Nel 2020, più dell’80% degli adolescenti ha utilizzato lo smartphone e la connessione a Internet con regolarità. Ai primi tre posti della classifica dei social network più usati fra gli under 18, si sono posizionati WhatsApp (98,2%), Instagram (90%) e YouTube (83,1%); molti giovani sembrano iscritti a Facebook, anche se non lo usano (48%), e un altro 41% sostiene addirittura di non farne parte. Questi i primi risultati di un’indagine nazionale sulla consapevolezza digitale in Rete di 2.800 adolescenti, condotta nel 2020 dall’Osservatorio Mediamonitor Minori della Sapienza; una fotografia peraltro confermata anche dal 17° rapporto sulla comunicazione del Censis (2021), dal titolo I media dopo la pandemia. I social network sembrano diventare per i giovani le principali piattaforme informative, gli adolescenti usano i social per aggiornarsi, così come frequentano regolarmente i motori di ricerca (fra il 40% e il 50%) e consultano spesso i siti web per cercare informazioni. Eppure leggono raramente i giornali cartacei e sporadicamente sfogliano quelli online e i libri (quasi il 30%). Se tuttavia spostiamo la nostra attenzione sul loro grado di esposizione e attivismo online, la situazione cambia radicalmente: la partecipazione in Rete è completamente assente dalla lista dei desideri degli adolescenti, il 33% degli intervistati non commenta mai un post e il 55% non fa mai dirette sui social. La fruizione del web è soprattutto audiovisiva, la maggior parte dei giovani carica e scarica frequentemente file multimediali dalla Rete (video o musica), guarda regolarmente video sul web (Youtube, Vimeo…), segue le serie televisive su piattaforme come Netflix, Prime Video, Infinity e ascolta musica in streaming.
Questi dati scattano una prima istantanea sulla generazione post Millennials, socialmente poco impegnata o attiva in Rete; infatti, gli adolescenti intervistati non partecipano mai a consultazioni online su questioni sociali o politiche (63%) e la metà di loro mai esprime opinioni pubbliche a riguardo (50%). Altrettanto marcata è la loro mancanza di vocazione per attività che richiedono competenze digitali creative, come scrivere sui blog o creare pagine web. Attraverso le potenzialità del digitale i giovani soddisfano pienamente i propri bisogni informativi e ludico immersivi, amplificando le opportunità di fruizione personalizzata per obiettivi di consumo culturale individuali, mentre ancora sembrano sfruttare poco le opportunità di protagonismo, di espressione del sé sociale, insito nella natura del Web. È come se i giovani trasferissero sul web quelle abitudini di consumo mediale che nascono con i media generalisti, sfruttandone le opportunità di personalizzazione; mentre sembra completamente sfuggire loro la dimensione di prosumerismo attivo tipico del web, che è alla base della gestione dei contenuti virtuali. Da qui l’espressione del titolo «esploratori taciti» del web, che privi di particolari competenze e forme specifiche di intraprendenza, osservano il mondo virtuale da una finestra senza eccessive esposizioni e compromessi ideologici. Questo è il ritratto di generazione lasciato in eredità dalla pandemia. (riproduzione riservata)
*docente di Digital Education alla Sapienza Università di Roma
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