di Marco Capponi
Uno spettro si aggira per l’Italia: quello di un’imposta sul patrimonio. E per evitare un del tutto ipotetico e si spera irrealistico prelievo forzoso di denaro, per esempio, dai conti correnti (lo fece il governo Amato nel 1992) serve un imperativo categorico: togliere i soldi da sotto il materasso e cominciare a investire. La liquidità è ai massimi storici, con i dati Abi di ottobre che mostravano depositi nei conti corrente da record oltre i 1.680 miliardi di euro. La seconda ondata della pandemia di Covid-19 non farà altro che esasperare il trend. Anche per le reti di consulenza associate ad Assoreti (per l’appunto, l’associazione delle reti di consulenti finanziari) la liquidità rappresenta la prima voce di raccolta (8,9 miliardi, ma con una contrazione del -23,4% su base annua, si veda la tabella), nonostante nel periodo gennaio-settembre i consulenti siano stati in grado di spingere i clienti a investire, riducendo lo stock liquido e alzando la raccolta in titoli, oicr e gestioni patrimoniali individuali. La raccolta del risparmio gestito sommata è stata infatti pari a 14,1 miliardi, con un aumento del 28,7% rispetto al 2019. MF-Milano Finanza ne ha parlato con Paolo Molesini, presidente di Assoreti.

Domanda. Dottor Molesini, qual è stato il ruolo delle reti nello stimolare la propensione all’investimento della clientela?

Risposta. Il segreto è semplice: essere sempre vicini ai clienti, e quindi cancellare l’emotività nelle scelte che effettuano. Abbiamo avuto pochi disinvestimenti durante la prima ondata pandemica, e abbiamo cominciato a investire fin da subito quando è iniziata la reazione dei mercati.

D. Quanto allo stock liquido?

R. Una grande componente è strutturale, perché i clienti portano in dote un patrimonio che poi investono in un secondo momento. Nel totale delle masse gestite, comunque, la liquidità risulta superiore a qualche anno fa (105 miliardi, +2,5% congiunturale rispetto al 2019, ndr), ma sicuramente non in misura elevata rispetto alla media europea.

D. Come comportarsi durante il nuovo lockdown?

R. Il momento è buono per investire, perché su gran parte dei titoli i costi non sono elevati. Lo spazio di crescita è molto, soprattutto nell’area che costa meno in questo periodo, rappresentata dai titoli value europei.

D. Per gli italiani, un imperativo: togliere i soldi da sotto il materasso. L’alternativa è lo spettro di una patrimoniale.

R. Patrimoniale sì o no, quello che va spiegato è che tenere i soldi sotto il materasso significa di fatto pagare una sorta di patrimoniale anche se questa concretamente non c’è.

D. In che senso?

R. Bisogna pensare in un’ottica di medio-lungo periodo: il patrimonio depositato nei conti correnti ogni anno perde un 2% circa per via dell’inflazione e per il mancato rendimento e perdita del potere d’acquisto, che in dieci anni può diventare anche un 25%. Circa un quarto del patrimonio bruciato.

D. Incentivare l’investimento, quindi. Quale può essere la ricetta?

R. Una sorta di cashback è possibile, e ci sono già delle misure che potrebbero andare in questa direzione. Un esempio è quanto è stato fatto col Btp Italia, con bonus per chi mantiene i titoli fino alla scadenza. Oppure, premi sulla fiscalità per il risparmio gestito su asset italiani.

D. Altri interventi utili?

R. Diminuire le soglie di ingresso, democratizzando alcune forme di investimento. Ad esempio, si può riconoscere una deducibilità fiscale, e non solo una detassazione delle plusvalenze.

D. E sul tema di pir e pir alternativi?

R. Abbiamo visto che l’esperienza dei pir è stata positiva, perché sono in grado di facilitare gli investimenti di lungo periodo nell’economia nazionale tramite incentivi fiscali.

D. Proprio intorno ai pir va ricostruita la fiducia dei consumatori.

R. Quello che è importante è che si riprenda l’ottimismo che si aveva alla partenza dello strumento. Il mercato ha bisogno di un vantaggio fiscale di lungo periodo. Per fare questo sarà importante anche una campagna di comunicazione specifica.

D. Gli investimenti devono tenere in considerazione anche il rilancio dell’economia reale?

R. Senza dubbio. Oltre ai pir alternativi, devono essere ben comunicati i vantaggi fiscali per le start-up e imprese innovative. Il segmento però si potrà sviluppare solo quando ci sarà un mercato secondario di questo tipo di investimenti.

D. Come?

R. Ci sono vantaggi fiscali per investire in imprese innovative, ma poi ci vorrebbe un mercato per disinvestire dopo quattro-cinque anni. Se disinvestire è difficile, la percentuale di risparmio che viene catturata rimarrà sempre marginale.

D. Invece, cosa va fatto a livello sistemico?

R. Apportare cambiamenti strutturali al mercato del lavoro, ad esempio. Un tema interessante è quello degli interventi del Next Generation Ue. La nostra industria è attiva sul ricambio generazionale, ma va sostenuta. Le ipotesi possono essere diverse, e sta allo Stato individuarle. Un esempio? Fornire crediti di imposta connessi all’inserimento dei giovani e all’avviamento per i primi due o tre anni di attività.

D. È utopistico pensare a una detassazione completa degli investimenti?

R. Per chiunque faccia il mio mestiere sarebbe una soluzione molto positiva, ma la sua effettiva applicazione è complessa.

D. Ci sono modelli fuori dall’Italia da prendere come esempio?

R. Trovo difficile prendere spunto da altri mercati, perché ci sono caratteristiche e imposizioni fiscali diverse. È sbagliato copiare dagli altri, ma senza dubbio l’Italia deve trovare la sua strada, che consiste nel costruire benefici fiscali agli investimenti di lungo periodo.

D. Chi ne trarrà beneficio?

R. Tutti quanti: le imprese, i consulenti e le famiglie. Non si tratta solo di investimenti che giovano all’economia, ma di una maggiore resa del risparmio, che permetta anche di essere meno dipendenti dalla spesa di previdenza. (riproduzione riservata)

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