Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

 

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Il tempo a disposizione è poco e a rischio ci sono 500 milioni di premi assicurativi che valgono un volume di affidamenti che sfiora 200 miliardi di euro. Linfa vitale per gli scambi economici del Paese che rischia di bloccarsi se il governo italiano non deciderà di allungare di un altro semestre l’ombrello protettivo di 2 miliardi di euro aperto sull’assicurazione del credito con il decreto Rilancio dello scorso maggio. A giorni è attesa l’emanazione del decreto attuativo da parte del ministero dell’Economia che dovrà liberare quei 2 miliardi che tramite Sace affluiranno sotto forma di garanzie alle compagnie di assicurazione del credito (90% degli eventuali sinistri) che in cambio in questi mesi hanno continuato ad offrire coperture nonostante il rischio di perdite sia evidentemente lievitato. Il decreto era atteso da mesi, c’è voluto più del previsto ma ora dovrebbe essere finalmente in dirittura d’arrivo visto che la convenzione di Sace avrebbe ricevuto il disco verde della Ragioneria. «Un secondo dopo che avremo firmato quella convenzione dobbiamo però sederci di nuovo tutti intorno ad un tavolo per estendere la validità della convenzione per un altro semestre», avverte Luca Burrafato, responsabile della regione Paesi Mediterranei, Medio Oriente e Africa di Euler Hermes, l’assicurazione del credito del colosso tedesco Allianz, che in Italia intercetta circa la metà di questi 500 milioni di premi. «Altrimenti dal primo gennaio 2021 il mercato dell’assicurazione del credito rischia di bloccarsi, con un effetto a catena sulla fiducia e la stabilità del sistema finanziario, indebolendo le imprese italiane nel confronto con altri concorrenti europei, dalla Francia alla Germania passando per Polonia e Romania che stanno già lavorando per la proroga delle misure adottate con la prima ondata della pandemia».
Nessuna buona nuova per il debito italiano, anzi l’Europa vede decisamente più nero del governo italiano per i prossimi anni. È quanto emerge dalle Previsioni d’Autunno pubblicate ieri dalla Commissione, nelle quali il rapporto debito/pil viene indicato al 159,6% nel 2020, non distante dal 158% previsto dall’esecutivo nella Nota di aggiornamento al Def. Ma la doccia gelata arriva per gli anni successivi, con Bruxelles che ancora nel 2022 proietta il dato al 159%, mentre per Roma dovrebbe attestarsi al 153,4%. Non solo, per la Ue, c’è anche il rischio che la previsione possa rivelarsi persino ottimistica, per via «delle misure di supporto alla liquidità per le imprese, incluse le garanzie pubbliche». E se negli anni passati a giustificare discrepanze quasi sempre presenti tra le stime europee e quelle italiane c’era il fatto che l’Ue non teneva in considerazione l’attivazione degli incrementi iva e scontava di molto gli introiti previsti per le privatizzazioni, in questo caso non ci si può appellare a queste differenti punti di vista. Ora questo non vale più, perché le clausole di salvaguardia sono state sterilizzate e di privatizzazioni non si parla più, se non per una parte residuale nel settore immobiliare pubblico.
In questi mesi ci siamo accorti di molte cose che davamo per scontate: per esempio, abbiamo riscoperto l’importanza del futuro e riesaminato lo stato sociale, che prima pareva «eccessivo» in termini di spesa e che invece ora si presenta fragile ed esiguo. Abbiamo compreso anche che le erogazioni monetarie sono indispensabili ma che i soldi prima o poi finiranno, e che ci vogliono soluzioni permanenti. In questo scenario, anche il welfare aziendale delle mense, degli asili, dei contributi per palestre e dei buoni pasto spesa non è più in linea coi bisogni imposti dalla pandemia. Che welfare serve, dunque, al tempo del Covid, e come realizzarlo?
Al termine dell’emergenza Covid, lo smart working diventerà la nuova normalità per quasi un terzo dei lavoratori dipendenti in Italia. Nonostante i ritardi tecnologici e le criticità emerse durante il lockdown, si stima infatti che in futuro il lavoro agile coinvolgerà 5,35 milioni di persone, di cui 1,72 milioni impiegate nelle grandi imprese, 1,48 milioni nella Pubblica amministrazione, 1,23 milioni nelle microimprese e 920 mila nelle Pmi È questo lo scenario delineato dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano in una ricerca presentata lo scorso 3 novembre durante il convegno online «Smart Working il futuro del lavoro oltre l’emergenza». Secondo i dati dell’Osservatorio, dunque, al di là delle prime risposte dettate dall’urgenza del momento, l’effetto della pandemia è destinato a innescare in futuro un processo di trasformazione di lunga durata sui ritmi e sulle modalità di lavoro.
Per il gruppo Credem i primi nove mesi d’esercizio si sono chiusi con un utile netto consolidato in flessione tendenziale dell’11,7% a 139,2 milioni di euro. Il risultato normalizzato -ottenuto cioè senza includere nell’ultima riga del conto economico le rettifiche su crediti relative a svalutazioni a causa del Covid-19- mostra invece una crescita del 5,1% anno su anno a 165,8 milioni. Per l’istituto guidato dal dg Nazzareno Gregori Rote e Roe hanno segnato rispettivamente un 7,5% e un 6,4%, sostenuti da una parte dall’effetto congiunto di margine d’intermediazione e commissioni nette che hanno retto l’urto della crisi attestandosi a 895 milioni (+0,7%) e 424,4 milioni (-0,9%), mentre dall’altro i costi operativi sono scesi del 4% a 518,1 milioni. La banca emiliana è riuscita così a comprimere ulteriormente il cost/income dal 60,8 al 57,9%
Banca Generali chiude i 9 mesi del 2020 con un risultato operativo record in rialzo del 9% a 283,5 milioni di euro, alza i target di raccolta e annuncia l’intenzione di distribuire il dividendo sul bilancio 2019 e la cedola minima relativa al 2020, per un rendimento totale che in base all’attuale capitalizzazione supera l’11%. Nel periodo il gruppo guidato dall’ad Gian Maria Mossa ha registrato un utile netto 195,8 milioni, in linea a quanto realizzato nello stesso periodo dello scorso anno (196 milioni), che era stato il più elevato di sempre nel periodo. Il risultato ha evidenziato un forte miglioramento delle voci ricorrenti (grazie all’ampliamento della diversificazione e sostenibilità dei ricavi). Queste ultime sono salite del 7,2% a 575,2 milioni favorite dalle commissioni di gestione, 496,8 milioni, +4%, a cui si è affiancato in modo strutturale l’incremento delle commissioni bancarie e d’ingresso (78,4 milioni, +31%).

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  • L’Ue rivede le stime di crescita «Due anni per il recupero»
«Nel suo insieme l’economia della Ue sarà appena al di sotto del suo livello pre-pandemia entro la fine del 2022, ma purtroppo non è così per tutti gli Stati membri», quasi la metà probabilmente non riuscirà a recuperare. Il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, ha presentato le Previsioni economiche d’autunno della Commissione europea, con la revisione delle stime rispetto a luglio in una situazione «instabile e incerta». Per l’Italia si registra un peggioramento. «Improbabile», secondo la Commissione, che la nostra ripresa torni ai livelli pre-pandemici entro il 2022. I Paesi con grandi settori del turismo dovrebbero impiegare più tempo per una piena ripresa. Per Bruxelles quest’anno il crollo del Pil italiano sarà del 9,9%, nel 2021 la crescita si limiterà al 4,1% e nel 2022 sarà del 2,8% (le stime di Roma, che però non tenevano conto delle nuove misure di contenimento, sono -9% quest’anno, +6% nel 2021 e +3,8% nel 2022). Invece «rispetto alle previsioni estive — spiega la Commissione — le stime di crescita per Eurozona e Ue a 27 sono leggermente più alte per quest’anno e più basse per il 2021». Il Pil dell’Eurozona si contrarrà quest’anno del 7,8% (-7,4% l’Ue a 27) prima di tornare a correre del 4,2% (+4,1% l’Ue) nel 2021 e del 3% (+3% anche l’Ue) nel 2022. Deficit e debito pubblico sono in crescita in tutta l’Unione, ma l’Italia è tra i Paesi più sotto pressione: il deficit sul Pil arriverà al 10,8% quest’anno, per scendere al 7,8% nel 2021 e al 6% nel 2022 (peggio di noi fa solo la Spagna); il debito pubblico sul Pil, che rimane il peggiore dietro a quello greco, sarà stabile, pari al 159,6% quest’anno, al 159,5% nel 2020 e al 159,1 nel 2022. Gli effetti economici della pandemia, osserva la Commissione, stanno colpendo in Italia soprattutto il settore dei servizi. Infatti se con la fine del primo lockdown manifattura costruzioni hanno ripreso a correre, invece i servizi, che «sono più sensibili all’aumento dei tassi di infezione e alle limitazioni alla mobilità», risentiranno delle limitazioni anche dopo quest’anno.

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  • Una ricca vita da cani Gli italiani chiusi in casa viziano i loro animali
La pandemia ha riscritto la gerarchia dei congiunti regalando agli animali di compagnia (che non contagiano come figli e nipoti) un gran balzo in classifica. E la Cani & gatti Spa – l’economia che ruota attorno alle nostre bestie di casa – si prepara a mandare in archivio un 2020 da incorniciare: le vendite Usa di croccantini, lettiere per felini e gadget vari per quattrozampe cresceranno quest’anno del 10%, dieci volte di più della spesa alimentare per esseri umani. Gli italiani – malgrado il Pil a picco e la crisi- hanno pagato nei primi 10 mesi dell’anno ben 1,2 miliardi per far felici i propri animali, un record. Garantendo loro scorte adeguate di beni di prima necessità, le vendite di cibo sono cresciute del 3%, ma viziandoli pure con sfizi da “apericena” come snack e bevande (+18,3%), oppure spendendo di più in prodotti per la loro salute (+18,5%) e pensando un po’ – era ora – anche al loro look, con un’impennata del 22,3% degli investimenti per l’abbigliamento di Fido. La ragione di queste spese in apparenza folli è semplice: l’amore non ha prezzo. E in tutto il mondo – specie nei periodi più duri del lockdown – cani e gatti hanno recitato un ruolo insostituibile, premiato dai loro padroni con un trattamento da re. Sono stati la più efficace delle terapie anti- stress a base di fusa e coccole per chi si è dovuto asserragliare da solo a casa lasciando fuori amici e parenti. Hanno fatto da autocertificazione a quattrozampe, leggi alla voce passeggiate dei cani, per consentirci di uscire a prendere una boccata d’aria all’aperto anche nel cuore delle zone rosse. Ben 3,5 milioni di italiani – calcola il rapporto – hanno acquistato un animale appena è finito il lockdown. E altri 4,3 milioni pensano di farlo nei prossimi mesi. La Nielsen ha calcolato che nei sei mesi tra l’inizio della bufera del coronavirus e fine agosto il mercato dei giocattoli per quattrozampe è cresciuto del 23% a 243 milioni di dollari, con i prodotti più richiesti finiti assieme a lievito, guanti di lattice ed alcol nelle liste degli “introvabili”, alla voce capricci per una perfetta vita da cani.

  • Azimut, a ottobre raccolta a 458 milioni
Il gruppo Azimut ha registrato nel mese di ottobre una raccolta netta positiva per 458 milioni di euro, raggiungendo così 4,1 miliardi da inizio anno. Il totale delle masse comprensive del risparmio amministrato si attesta a fine ottobre a 57,2 miliardi, di cui 44,3 miliardi fanno riferimento alle masse gestite.