La grande sfida lanciata dal Covid-19 è stata quella di dover adattarsi rapidamente a un cambiamento radicale delle nostre abitudini. Le aziende continuano a dover fronteggiare perdite di ricavi, incertezza finanziaria, problemi lungo la supply chain e piani di emergenza in caso di interruzione dell’attività.
In mezzo a questa tempesta che non sembra avere fine, le aziende devono anche provvedere al benessere dei propri dipendenti.
La pandemia ha inciso profondamente anche sul benessere psicologico dei dipendenti, e non parliamo tanto di chi opera in prima linea e rischia ogni giorno come medici e personale sanitario, quanto di chi lavora da casa in smart working, con livelli di ansia più alti del solito, autostima in picchiata e scarsa soddisfazione sulle proprie condizioni di vita.
Un sondaggio realizzato da QBE nel Regno Unito ha rivelato che circa tre lavoratori su dieci (29%) presentano problemi di salute mentale. A soffrire maggiormente sono i lavoratori più giovani (35% nella fascia d’età 18-34 anni) rispetto a quelli più anziani (16% tra gli over 55).
La pandemia ha aumentato i livelli di stress aggiungendo ulteriore complessità ai dipendenti che fanno più fatica a concentrarsi e trovano maggiori difficoltà rispetto al passato nello svolgimento delle attività lavorative che fanno parte della quotidianità.
Sarebbe quindi essenziale che i datori di lavoro avessero maggiori informazioni sulle maggiori difficoltà riscontrate dai propri dipendenti, in modo da poter fornire un’assistenza mirata a un veloce adattamento al cambiamento. Nonostante l’accresciuta consapevolezza e sensibilità sull’argomento, resta ancora molta strada da fare. Oltre un dipendente britannico su cinque (21%) afferma di non aver ricevuto un buon servizio di assistenza per i proprio benessere psicologico, mentre il 22% non crede che il proprio datore di lavoro sia realmente interessato al benessere psicologico dei propri dipendenti.
Il risultato rispecchia fedelmente il dato emerso dallo studio dello scorso anno, nel quale si affermava che un quarto delle aziende non avesse offerto alcun tipo di supporto per la salute mentale dei propri dipendenti.
Tornando all’ultima edizione del sondaggio QBE, un quarto dei lavoratori nasconde problemi psicologici al datore di lavoro e circa un terzo (31%) afferma che si sentirebbe a disagio nel parlarne al proprio datore di lavoro, soprattutto per la paura di eventuali conseguenze.
Proprio la sicurezza del posto di lavoro preoccupa il 34% dei lavoratori, mentre il 25% teme che parlare dei propri problemi di natura psicologica metterebbe a rischio la carriera.
A differenza di altre, la crisi da Covid è in continua evoluzione e non si sa fino a quando ci accompagnerà. E’ quindi difficile pensare con precisione quali interventi di supporto psicologico siano necessari, ma le aziende farebbero bene a prestare molta attenzione al benessere mentale dei propri dipendenti, perché sottovalutare problemi di natura psicologica e disordini a livello comportamentale può costare caro. Quanto? Gli esperti di QBE hanno stimato in oltre 68 mila dollari di contratti persi il danno mediamente subito dalle aziende nel 2019, a causa della mancata assistenza ai dipendenti con problemi psicologici.