di Anna Messia
La tutela dei piccoli azionisti prima di tutto. Come dovrebbe essere sempre e come a volte non accade. Resta così aperto il confronto tra Generali e Consob con una posizione che ad oggi passa tra due poli: nessun obbligo di opa già accertato in caso di salita nel capitale di Cattolica, ma neppure un lasciapassare preventivo. Da ottobre scorso il Leone detiene il 24,4% della compagnia assicurativa veronese dopo aver sottoscritto l’aumento di capitale da 300 milioni richiesto da Ivass per risollevare il Solvency II del gruppo scaligero. Una percentuale che già oggi è a ridosso della soglia del 25%, superata la quale Generali sarebbe obbligata a lanciare un’offerta pubblica sull’intero capitale di Cattolica. A meno che, ed è proprio questo il punto, il gruppo guidato da Philippe Donnet non dimostri che l’operazione è stata realizzata per mettere in sicurezza Cattolica dal punto di vista patrimoniale, nel qual caso Consob potrebbe esentare Trieste dall’obbligo dell’opa.
Il nodo non è facile da sciogliere e negli ultimi tre giorni la discussione a distanza tra i rappresentanti del Leone e gli esponenti della Commissione di Borsa si sarebbe fatta serrata, in quanto giovedì 26 c’era un primo appuntamento che poteva essere l’occasione per Generali per salire nel capitale di Cattolica. Scadeva infatti il termine per sottoscrivere le azioni oggetto del recesso conseguente alla trasformazione della compagnia di Verona in società per azioni. Un pacchetto tondo, pari all’11,64% delle azioni Cattolica, che avrebbe consentito a Generali di crescere al 36% della compagnia, con cui ha già avviato una salda partnership industriale e nominato tre membri del cda (cfr le anticipazioni di MF-Milano Finanza del 23 novembre). Un pacchetto da acquistare al prezzo già definito di 5,47 euro ad azione per un totale di 113 milioni. Cifra più bassa dei 5,55 euro pagati da Generali per l’aumento di capitale di ottobre, ma più alta dell’attuale valore di borsa di Cattolica, che venerdì 27 ha chiuso a 5,12 euro.
Nel frattempo, tra l’altro, Ivass ha già autorizzato Generali a salire fino al 49,9%. Ma, come detto, resta da chiarire se l’esenzione dall’obbligo d’opa possa applicarsi o meno. Perché se da una parte il solo riacquisto delle azioni di recesso potrebbe essere sostenibile da Cattolica (che rivendendo la azioni in borsa, almeno sulla carta, avrebbe una perdita di una ventina di milioni, con un Solvency II che oggi viaggia intorno al 205%), è altrettanto vero che tutta l’operazione può essere vista come un soccorso di Generali a Cattolica, che difficilmente sarebbe riuscita a trovare sul mercato investitori pronti a sottoscrivere 500 milioni di aumento di capitale nei tempi rapidissimi chiesti dall’Ivass e con una trasformazione societaria da cooperativa a spa da attuare nel frattempo. Nessuna pregiudiziale sembra quindi esserci da parte di Consob all’esenzione dell’opa, ma l’autorità presieduta da Paolo Savona, nell’adempiere al proprio dovere, chiede di conoscere il quadro completo dell’operazione e non pezzo per pezzo e soprattutto esige garanzie sulla tutela della minoranze, anche senza offerta pubblica. A partire dagli azionisti di recesso. Il nodo infatti è che per Consob Generali e Cattolica, per equità verso gli azionisti terzi, avrebbero dovuto presentare l’operazione nella sua interezza e comunque fare un prezzo equo per tutti.
La prossima occasione per salire potrebbe essere l’aumento di capitale di 200 milioni previsto a gennaio con l’acquisto da parte di Generali delle eventuali azioni oggetto dell’inoptato. Intanto Cattolica nei prossimi giorni dovrà chiedere a Ivass l’autorizzazione ad acquistare quell’11,64% rimasto senza acquirenti e poi in ballo c’è l’approvazione Consob del prospetto della seconda tranche di aumento da 200 milioni che dovrà anche alzare il velo sulla clausola del change of control con Banco Bpm che potrebbe penalizzare Cattolica se Generali arrivasse al controllo della compagnia. (riproduzione riservata)
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