Pagina a cura di Antonio Longo
Gli investimenti nel 2020 per il 42% delle imprese italiane saranno minori di quanto previsto alla fine dello scorso anno. Per circa la metà di queste imprese la spesa sarà inferiore di oltre un quarto, per una su quattro sarà più che dimezzata, a causa dell’emergenza Covid. E il ridimensionamento riguarda anche i piani di investimento per il 2021. È quanto rilevano gli analisti della Banca d’Italia nell’ambito del sondaggio congiunturale condotto sulle imprese industriali e dei servizi. In base al report, la differenza tra la quota di aziende che investirà in misura maggiore e la quota di chi lo farà in misura inferiore a quanto previsto, pari a -32 punti percentuali, è analoga tra industria e servizi, ma è più sfavorevole tra le imprese con almeno 500 addetti (-40 punti percentuali), che un anno fa avevano indicato previsioni di spesa più espansive rispetto alle altre imprese. Oltre i tre quarti delle aziende che hanno rivisto i propri piani di investimento al ribasso hanno ricondotto la scelta all’incertezza sulle prospettive economiche e politiche e all’evoluzione della domanda.
Si programma con prudenza. Anche i piani di investimento per il 2021 continuano a risentire dell’incertezza, imputabile ai fattori economici e politici, mentre le attese sull’evoluzione della domanda ne rappresentano il principale stimolo. Circa metà delle imprese programma di realizzare nel 2021 una spesa per investimenti in linea con quella dell’anno in corso, a fronte di un saldo positivo (di 17 punti percentuali) tra chi intende aumentarla e chi pianifica di ridurla. Attualmente, meno di un terzo di chi ha ridotto la spesa di almeno il 10% pianifica un aumento di almeno il 10% per l’anno prossimo. In generale, le attese per i prossimi sei mesi, rilevate prima del recente nuovo aumento della diffusione dei contagi da Covid-19, mostrano un ridimensionamento del pessimismo delle imprese in confronto alle valutazioni sulla prima parte dell’anno. Il saldo tra previsioni di aumento e riduzione del fatturato rimane comunque negativo e riflette giudizi lievemente positivi tra le imprese industriali a fronte di previsioni ancora sfavorevoli nei servizi. Le attese sono più pessimistiche, naturalmente, per le aziende che hanno subìto un maggiore ridimensionamento delle vendite nei primi nove mesi dell’anno. Le imprese esportatrici anticipano una lieve ripresa delle vendite sui mercati esteri, il saldo tra giudizi di aumento e riduzione è positivo, tuttavia è ancora elevata la quota di imprese che prevede una forte contrazione del proprio fatturato estero nei prossimi sei mesi.
Segno meno per tutti gli indicatori. Le incertezze sul fronte degli investimenti derivano, naturalmente, da quanto sta drammaticamente accadendo negli ultimi mesi. Numeri, quelli individuati da Banca Italia, che manifestano, nella loro assoluta freddezza, lo scenario che sta duramente colpendo il tessuto produttivo. Infatti, secondo le imprese dell’industria in senso stretto e dei servizi con almeno 20 addetti, nei primi nove mesi dell’anno le vendite hanno fortemente risentito degli effetti della pandemia. La riduzione della domanda di lavoro è stata meno intensa di quella dell’attività economica. Le conseguenze del netto calo delle vendite sulle ore lavorate e l’occupazione sono state mitigate dal ricorso alle misure di sostegno all’impiego. La redditività aziendale si è ridotta. Nel primo semestre dell’anno è più che raddoppiata la quota di imprese che ha incrementato la domanda di prestiti bancari (40% rispetto al 17% del 2019), soprattutto a causa di un maggiore fabbisogno di fondi per capitale circolante e di minori capacità di autofinanziamento.
Peggio della crisi internazionale del 2009. Il saldo tra giudizi di aumento e riduzione delle vendite nei primi nove mesi del 2020 si è ampiamente ridotto rispetto all’anno precedente. La quota di imprese che indica un calo del fatturato, pari al 71%, e la percentuale di chi ne riporta una forte riduzione (il 64%) è di circa 25 punti superiore rispetto alla rilevazione condotta nel 2009, in corrispondenza della crisi finanziaria internazionale. In particolare, per due imprese su cinque il fatturato si è ridotto di almeno il 15%, per metà di queste è diminuito di oltre il 30%. Le flessioni di maggiore entità sono riportate, soprattutto, dalle aziende operanti nel comparto tessile, abbigliamento, pelli e calzature, da quelle metalmeccaniche e del comparto del commercio, degli alloggi e della ristorazione. Le vendite hanno risentito del calo della domanda sia interna sia estera, in tale contesto il 73% delle imprese esportatrici ha riportato una contrazione del fatturato nei mercati esteri. La quota di imprese che ha utilizzato l’e-commerce per la vendita dei rispettivi beni e servizi è stata analoga a quella rilevata sul 2019, circa il 30% ma per meno di un terzo di esse le vendite online hanno rappresentato oltre il 10% del fatturato. L’andamento delle vendite ha determinato un fisiologico calo della redditività: si è ridotta in misura evidente la quota di aziende che prevede di realizzare un utile nel 2020 a fronte di un significativo aumento di quella che prevede di chiudere in perdita.
Mercato del lavoro in grande sofferenza. Quasi il 70% delle imprese riporta di avere ridotto le ore lavorate durante i primi nove mesi dell’anno. Il calo ha riguardato tutte le classi dimensionali e settoriali oggetto di indagine. Il saldo tra previsioni di aumento e di riduzione del numero di occupati nel complesso del 2020 anticipa un ridimensionamento della forza lavoro.
Quasi metà delle imprese intende lasciare invariato il numero di occupati. Nel corso dell’anno, il calo dell’occupazione è stato contrastato dal ricorso agli strumenti di integrazione salariale e alle misure di tutela dell’occupazione a tempo indeterminato: oltre il 70% delle imprese ha fatto richiesta di utilizzo della Cassa integrazione guadagni, solo il 4% ha fatto richiesta di procedure di messa in mobilità. Contestualmente, oltre l’80% delle imprese ha fatto ricorso a modalità di lavoro agile, circa il triplo rispetto al 2019. Le imprese industriali prevedono un recupero delle ore lavorate tra sei mesi, mentre quelle del comparto dei servizi si attendono un ulteriore peggioramento.
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