In tema di colpa professionale vale il criterio del “più probabile che non” nell’ipotesi di omesso svolgimento di attività che possano in qualche modo recare un vantaggio personale e/o patrimoniale al cliente: è questa la conclusione cui sono giunti i giudici della III sezione civile nell’ordinanza n. 24956/2020, intervenendo sul ricorso di un legale avverso la decisione di merito. In punto di fatto, era accaduto che il professionista era stato condannato in sede di appello per non aver informato il proprio assistito dell’esito negativo della sentenza di primo grado, con ciò impedendogli qualsiasi chance di difendersi o transigere e versare una somma minore; in altre parole erano venuti meno i doveri di diligenza professionale, dal momento che lo stesso libero professionista non si era presentato alle udienze, né aveva contestato la consulenza tecnica d’ufficio.
Del pari avviso è stato il collegio giudicante della Cassazione, il quale, nel rigettare il ricorso, ha ribadito, riprendendo alcuni precedenti sul punto (da ultimo Cass. n. 25112/2017), come «in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del «più probabile che non», si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa». La sentenza impugnata, spiega ancora, non aveva quindi disatteso tale principio, avendo formulato la prognosi di accoglimento e/o ridimensionamento della condanna pronunciata in primo grado «secondo un serio ed apprezzabile criterio probabilistico del caso concreto».
Così argomentando ha quindi condannato il legale alle spese di giudizio nonché all’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
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