A una settimana dalla presentazione del nuovo piano industriale di Unicredit (Londra, 3 dicembre), l’istituto guidato da Jean Pierre Mustier entra nel vivo della trasformazione digitale in atto e pone l’accento sulla sua vocazione paneuropea, che si concretizza attraverso uno dei simboli della new economy , una app . Davanti ai macro temi che condizionano questa industry ormai matura, dall’assalto delle fintech al problema occupazionale, una app può apparire come una falsa risposta, un diversivo. Invece, dalle parole di Olivier Khayat e Francesco Giordano, da febbraio co-head del Commercial banking per l’area Western Europe , che comprende Italia, Germania e Austria, ovvero circa l’80 per cento dei ricavi del gruppo, emerge una visione diversa, strategica.
Giordano. «Nell’area Western Europe Unicredit conta circa 11 milioni di clienti. Sette milioni in Italia e quattro milioni divisi in maniera pressoché uguale tra Germania e Austria, con un impatto ben maggiore in Austria, che ci rende di gran lunga la prima banca di quel Paese. In questi tre Paesi, ma anche negli altri undici in cui siamo presenti, ogni banca aveva una propria app, una interfaccia originale per dialogare e operare in remoto con la clientela. Ora, unendo Italia, Germania e Austria in una unica app possiamo offrire un servizio più efficace e saremo in grado di offrire più rapidamente innovazione».
Khayat. «L’Europa è ancora un mercato troppo granulare. Se prendiamo le prime cinque banche d’Europa e le mettiamo assieme valgono, come dimensione, il 30 per cento di Jp Morgan, mentre l’economia dell’Europa si può confrontare con quella degli Stati Uniti. Mettendo assieme Italia, Germania e Austria raggiungiamo una massa critica di 11 milioni di clienti e questo ci permetterà di sviluppare un progetto integrato nei tre Paesi».
Quanto avete investito in questo progetto?
Giordano. «Svariate decine di milioni di euro. La cifra non è puntuale perché il piano industriale in essere dedica molte risorse all’area della information technology e i contributi correlati sono numerosi».
Beh, nulla di nuovo. Già oggi tutte le app bancarie consentono di effettuare pagamenti dal divano di casa nel corso del week end…
Khayat. «Certo. Ma noi non ci fermeremo ai pagamenti. Penso alle tante Pmi italiane. Oggi una domanda di credito riceve risposta in un periodo tra i 7 e i 10 giorni. Vogliamo arrivare, anche con la app, a dare risposte in un giorno. È un nostro obiettivo».
Standardizzazione dei requisiti, software dedicati, intelligenza artificiale. È la scomparsa del fattore umano, la valutazione del merito di credito delegata a una macchina. Finisce il mestiere di banchiere.
Giordano. «Al contrario, vogliamo arrivare a migliorare l’apporto umano grazie alle componenti tecnologiche. La app non disintermedia il rapporto con i colleghi delle agenzie, ma ne eleva la qualità. Su questo non c’è alcun dubbio».
La tecnologia pone un tema di sicurezza. Lo si è visto anche di recente.
Khayat. «La sicurezza in banca non è un tema, è il tema principale. Unicredit sta investendo molto su questo e presto anche il grande pubblico percepirà che una banca non vale l’altra. La sicurezza si capisce con il tempo. Francesco e io siamo convinti che nel medio termine vinceremo questa partita e lo vediamo quotidianamente nella nostra attività».
La normativa Psd2 pone dei problemi al riguardo.
Giordano. «Oggi con la condivisione dei dati si prospetta un nuovo tipo di rapporto tra cliente e banca. In Unicredit pretenderemo che gli standard qualitativi delle terze parti che possono avere accesso ai dati dei nostri clienti siano per lo meno al nostro stesso livello, rispettando standard tecnologici ed etici della banca».
La prossima settimana verrà presentato il piano industriale triennale. Che direzione darà a Unicredit?
Khayat. «Lavoro da trent’anni in questo settore ed è la prima volta che una banca chiude un piano industriale, quello in essere, raggiungendo tutti gli obiettivi prefissati. Però non abbiamo tempo per un victory lap, dobbiamo concentrarci sul prossimo piano. Come sarà? Sarà un nuovo modo di fare banca all’epoca dei tassi negativi, con margini stretti, vincoli regolatori sul capitale e grande impatto della tecnologia, con l’obiettivo di dare ottimi servizi ai nostri clienti».
Come cambierà la vostra offerta?
Giordano. «Stiamo allargando la nostra proposta con soluzioni assicurative mirate».
Vi viene contestato che il peso dell’Italia sul totale del gruppo è in rapida diminuzione.
Giordano. «Abbiamo effettuato alcune cessioni di partecipazioni non core. Ma all’interno del nostro core business l’impegno sull’Italia è centrale. Nessun dubbio su questo, anzi, completo e totale rafforzamento della nostra presenza in Italia. E le assicuro che sia io che Olivier per prendere un cliente siamo disposti a farci un bel numero di chilometri. I dati del terzo trimestre hanno dimostrato la migliore performance del decennio, ma soprattutto una crescita consistente di clienti, dei depositi e dei loro investimenti che dimostra come la banca sia percepita come un ottimo partner, solido e affidabile».
Khayat. «Voglio aggiungere una cosa: oggi c’è bisogno in Europa di una banca con una dimensione tale da aiutare l’economia e la coesione tra i Paesi dell’unione. Unicredit vuole essere una forte banca paneuropea con un grande commitment verso l’Italia. Oltre il 70 per cento dei nostri azionisti sono internazionali, mentre il nostro business è circa il 50 per cento in Italia. Questo dimostra come Unicredit abbia portato capitali e investimenti dall’estero verso l’Italia. Non il contrario. Chi ha fatto così? Solo Unicredit».
Giordano. «Noi abbiamo un grande senso di responsabilità in quello che facciamo. Nei tre Paesi gestiamo oltre 400 miliardi di euro di risparmi e sono in continua crescita, specialmente in Italia. E questo orientamento europeo di cui parlava Olivier significa maggiore diversificazione degli asset e un’ottica europea, meno provinciale, negli investimenti».
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