Emerge da una ricerca commissionata da Moneyfarm al Politecnico di Milano
Debutto molto difficile per i rendiconti, che da quest’anno per la prima volta gli intermediari finanziari hanno inviato ai risparmiatori per sintetizzare le spese e i rendimenti degli investimenti. Ecco perché
di Paola Valentini
Non soltanto sono stati spediti in ritardo ai risparmiatori, ma, alla prova dei fatti, sono anche poco trasparenti. Non è stato un debutto brillante per i rendiconti Mifid 2, che da quest’anno per la prima volta sintetizzano ai risparmiatori costi e rendimenti degli investimenti.
A fotografare la situazione è una ricerca realizzata dalla School of Management del Politecnico di Milano e commissionata da Moneyfarm. La ricerca analizza ha l’informativa Mifid 2 di 18 tra i principali intermediari finanziari attivi in Italia. La direttiva Mifid 2, che ha introdotto questi rendiconti, è applicabile in Ue da inizio 2018 e nasce con l’obiettivo di definire uno standard virtuoso nella comunicazione dei costi degli investimenti per aiutare il risparmiatore a prendere decisioni di investimento consapevoli. Ma lo studio conferma che l’industria italiana del risparmio ha ancora molta strada da fare per quanto riguarda la trasparenza nei confronti degli investitori.
Come evidenziato da MF-Milano Finanza nei mesi scorsi, a metà giugno solo due intermediari avevano inviato i prospetti Mifid 2 (la stessa Moneyfarm ed Euclidea Sim), mentre il resto del mercato è partito a luglio nonostante la legge imponesse agli operatori un invio tempestivo dopo la chiusura dell’esercizio 2018. Va detto che l’avvio dei rendiconti non ha coinciso con un momento positivo per i mercati, dato che il 2018 è stato uno degli anni peggiori della storia della finanza quanto ad asset class con rendimento negativo
Gli intermediari analizzati dalla ricerca di Politecnico e Moneyfarm sono: Allianz , Azimut , Generali , Banco Bpm , Bnp Paribas , Bper , Credem , Deutsche Bank , Fineco , Ing, Intesa , Mediobanca , Mediolanum , Mps , Ubi , Unicredit e Unipol . Lo studio certifica che nessun intermediario si è distinto per tempestività nell’invio dell’informativa e che la maggior parte di essi non è riuscita a recepire le indicazioni di Esma, mercati e associazioni di categoria: molti documenti risultano ancora poco chiari.
L’analisi è stata condotta sulla base di tre distinti livelli di valutazione sugli adempimenti previsti. In primo luogo sono stati analizzati i requisiti obbligatori minimi imposti dalla Mifid 2 e dai regolamenti attuativi di secondo livello. Solo 5 intermediari su 18 hanno rispettato tutti i requisiti minimi. In dettaglio, riguardo all’indicazione dell’effetto cumulativo dei costi sulla redditività dell’investimento, il 44% degli intermediari lo ha indicato in modo parziale (omettendo il dato sul rendimento e indicando il solo costo sostenuto), mentre nel 6% dei casi l’informazione è del tutto assente.
Relativamente agli oneri fiscali da riportare obbligatoriamente (imposta di bollo e Iva): nel 22% dei rendiconti la voce è presente solo parzialmente, mentre nell’11% tali oneri non sono stati illustrati. Tutti gli intermediari hanno invece correttamente riportato i costi totali applicati all’investitore (in valore assoluto e in percentuale) e la ripartizione in forma aggregata dei costi in strumenti finanziari, servizi d’investimento e pagamenti di terzi riconosciuti all’intermediario finanziario.
Il secondo punto sotto osservazione fa riferimento alle indicazioni non obbligatorie dell’Esma (pubblicate fra ottobre 2016 e maggio 2019) e alla Linee Guida pubblicate da Ascofind. Ebbene, nessun intermediario è riuscito a seguire tutte le raccomandazioni. In particolare, nessuno si è distinto per tempestività nell’invio dell’informativa. Nel campione, due soli report sono stati inviati a maggio, due a giugno, 11 a luglio, due ad agosto e uno addirittura a settembre. Nel 44% dei casi è mancata l’indicazione disaggregata dei costi fra le varie voci previste dalla normativa. Il 72% dei rendiconti riportava invece le informazioni sulla fiscalità personale sui redditi conseguiti.
Il terzo aspetto esaminato è relativo ad alcuni parametri qualitativi addizionali individuati dagli autori della ricerca come rilevanti rispetto all’obiettivo di massimizzare la trasparenza delle informazioni fornite (ad esempio, metriche per analizzare la leggibilità e la comprensione del documento). I rendiconti presi in esame hanno circa 15 pagine in media (mentre i requisiti minimi potrebbero essere schematizzabili in un massimo di 4 tabelle), solo il 28% dei documenti rimane entro le 5 pagine, il 39% si posiziona fra 10 e 30 pagine, il 17% contiene più di 30 pagine. Solo il 44% dei rendiconti contiene la parola costi o oneri nell’intestazione. Se è vero che tutti clienti hanno ricevuto il documento, è anche presumibile che oltre la metà di loro potrebbe non essersi resa conto di aver ricevuto proprio il rendiconto costi e oneri 2018 di Mifid 2.
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