di Angelo De Mattia
È il venir meno dell’ultimo legame rimasto con una ex Bin. Jean Pierre Mustier aveva detto da tempo che la partecipazione dell’Unicredit in Mediobanca non aveva carattere strategico, per cui voci di una possibile dismissione erano già circolate, anche se poi non avevano avuto un seguito concreto. Ora giunge improvvisa la notizia della vendita dell’interessenza, che apre a una situazione decisamente nuova sull’assetto proprietario dell’istituto di piazzetta Cuccia per quanto riguarda le prospettive, mentre si sviluppano le iniziative della Delfin di Leonardo Del Vecchio, che avrebbe in animo di superare il 10% del capitale della stessa Mediobanca .
Ogni collegamento è puramente casuale o vi è qualcosa in più? Si cade nella fantafinanza o ci si azzecca? Naturalmente, poiché non si tratta di un movimento che riguardi una piccola banca, è importante che, innanzitutto per fondamentali ragioni di trasparenza del mercato, si sappia qualcosa di meno vago sulla vendita, un’articolata informativa appare più che doverosa. In ogni caso, la vendita sancisce definitivamente la fine di quella parte, invero piccola, che ancora residuava dell’era Cuccia, anche perché non ci può essere più, come negli anni di fulgore di quest’ultima, in un contesto economico-finanziario ora radicalmente mutato e con epigoni di ben diversa caratura.
Preoccupazioni, allora, per quanto sta accadendo e per Mediobanca , un tempo desiderata preda anche dall’estero, ma mai conquistata? Niente affatto, alla condizione che siano salvaguardate la stabilità aziendale di sistema, la trasparenza, l’idoneità e la potenzialità degli azionisti, la coerenza della governance e, non per ultimo, la rispondenza alle norme e agli obiettivi istituzionali di questo storico intermediario. Del resto, dopo tanto parlare di mercato e di concorrenza, se anche Mediobanca assume pienamente la capacità di essere aggregante, ma anche aggreganda, di competere ad armi pari anche per iniziative complesse, ciò non è certo un danno, alla condizione che i suddetti vincoli siano rispettati e si risponda in maniera soddisfacente agli indirizzi e ai controlli delle autorità di supervisione. A ben vedere, si tratta, insomma, di una sferzata di dinamismo che può fare bene.
E’ il possibile mutamento degli assetti societari di piazzetta Cuccia anche la posta per le Generali ? Ciò non si può escludere, quantomeno in prospettiva. Anche in questo caso occorrono trasparenza sui requisiti, disponibilità di risorse, chiarezza e validità della governance, adeguati piano strategici e industriali. Ma non ci si potrebbe stracciare le vesti se anche nelle Generali si manifestassero mutamenti degli azionisti, direttamente o attraverso Mediobanca . Del resto, è trascorso ben più di un decennio da quando autorevoli esponenti del vertice del Leone di Trieste ritenevano necessario un aumento di capitale, che però non si è ancora realizzato. Potrebbe, forse, venire in ballo il tema dell’italianità del Leone, cosa non certo disprezzabile, anche se oggi chiedono che sia tutelata diversi di coloro che in passato puntualmente la demonizzavano. Ma essa si nutre di apporti che debbono venire in primis dalla «proprietà» e dalla capacità ancora più forte di combattere sul mercato. Una difesa istituzionale «a prescindere» avrebbe un fondamento molto debole.
Ma qui ci siamo spinti troppo avanti. Fermiamoci per ora all’impatto, che avrà una portata non certo leggera, della decisione assunta da Unicredit , sulla quale occorrerà ritornare presto, confidando nella trasparenza informativa e nella accountability. (riproduzione riservata)
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