Hey Google, leggimi il mio estratto conto. Dopo essere entrata nel mondo dei pagamenti con Google Pay, Big G si prepara a un ulteriore, grande, passo nel mondo dei servizi finanziari. Nel 2020, rivela il Wall Street Journal, il colosso americano offrirà conti correnti alla sua utenza in collaborazione con Citigroup e Stanford Federal Credit Union, piccola banca che custodisce gli averi di molti dipendenti di Mountain View. I dettagli del progetto, nome in codice Cache, non sono noti. La società guidata da Sundar Pichai, per esempio, non ha ancora deciso se far pagare commissioni per il servizio. Memore delle disavventure di altre big tech, in ogni caso, Google sembra voler adottare un approccio meno aggressivo al mondo finanziario.
A differenza della Apple Card realizzata con Goldman Sachs, ma pubblicizzata come «progettata da Apple non da una banca», così, i conti correnti di Big G dovrebbero valorizzare il marchio dei partner finanziari. Inoltre, per evitare le disavventure con i regolatori mondiali di Facebook e del suo progetto Libra, Google affiderà alle banche la gestione di infrastrutture finanziarie e compliance. Del resto, per svolgere simili attività, fanno notare ambienti vicini a Bankitalia, servirebbero licenze di cui Google, per ora, non dispone né negli Usa né in Europa. A oggi, infatti, il colosso di Mountain View dispone in Ue soltanto di due licenze di moneta elettronica, rilasciate da Lituania e Irlanda, che consentono di gestire conti di pagamento, ma non conti correnti. Possibile che in futuro Google richieda anche l’autorizzazione necessaria a svolgere attività bancaria tout court, ma alcuni osservatori dubitano che simile iniziativa sia nell’interesse del colosso californiano almeno nel breve termine. Il mestiere di banca comporta infatti il rispetto di tempi, regolamenti e requisiti patrimoniali che mal si conciliano con le strategie di rapida espansione delle big tech, incentrate sui dati. In questo senso, con il lancio di conti correnti in collaborazione con istituti tradizionali Google avrebbe accesso a una miniera di informazioni sugli utenti – reddito, abitudini di spesa e bollette – senza dover sostenere gli oneri del far banca. La big tech californiana, è vero, ha assicurato che i dati così accumulati non verranno venduti a terzi. Ma la loro combinazione con le altre informazioni di cui già Big G dispone – mail, ricerche su internet, dati di geolocalizzazione e sanitari – consentirebbe a Google una conoscenza senza pari dei suoi utenti, un vantaggio formidabile nell’esercizio di qualsiasi attività. Sempre che le autorità, già stanno investigando sulle prassi anticoncorrenziali delle big tech, non decidano di intervenire prima.
Grazie a Google, invece, gli istituti partner contano di poter aumentare la loro base clienti grazie agli onnipresenti strumenti di Google il cui motore è utilizzato per il 93% delle ricerche sul web e il cui browser è adottato dal 63% degli utenti di internet. Una scommessa ad alto rischio perché in futuro Big G potrebbe decidere di mettersi in proprio sfruttando i dati accumulati nel frattempo. D’altronde, nello statuto di Google Italy già si legge che l’oggetto sociale si estende all’esercizio di «tutte le attività immobiliari, mobiliari, finanziarie, industriali e commerciali» utili al raggiungimento dello scopo sociale, nel rispetto della disciplina in materia di intermediazione finanziaria. Per ora, comunque, Google assicura di voler cooperare con le istituzioni finanziarie, aprendo se del caso la collaborazione sui conti correnti anche ad altre banche, americane e internazionali.
Chi invece preferisce far da sé è Facebook che ha lanciato un sistema per pagare, inviare e ricevere denaro tramite le app della galassia di Mark Zuckeberg. Facebook Pay potrà essere collegato alle principali carte di credito o a un conto Paypal e inizialmente sarà disponibile solo su Facebook e solo negliUsa. Presto il servizio sarà però esteso a Instagram e WhatsApp e disponibile in tutto il mondo. Facebook Pay appare come un ridimensionamento rispetto alle ambizioni di Zuckeberg di creare una moneta privata con il tormentato progetto Libra. Dal punto di vista della raccolta dei dati, tuttavia, le differenze fra i due strumenti sono molto meno evidenti. (riproduzione riservata)
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