L’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute delle persone ha già presentato il conto e l’Italia detiene il triste primato europeo per i decessi legati all’esposizione alle polveri sottili.
È quanto emerge dal report “The Lancet Countdown 2019: Tracking Progress on Health and Climate Change”, presentato a Venezia nel corso di un evento organizzato dalla Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) e dall’Università Ca’ Foscari, alla cui realizzazione hanno lavorato 120 esperti di 35 istituzioni accademiche di rilievo internazionale e agenzie delle Nazioni Unite di tutti i continenti. Lo studio evidenzia il legame tra salute e climate change a livello mondiale, tenendo conto delle dimensioni finanziarie ed economiche dei danni causati dagli eventi climatici.
Dallo studio emerge un quadro dai toni decisamente opachi: sono infatti aumentate le persone esposte a temperature estreme, incendi e malattie infettive, mentre è in diminuzione la sicurezza alimentare. Nel 2018, i 831 eventi estremi legati al clima hanno comportato perdite economiche per 166 miliardi di dollari e le assicurazioni non hanno coperto gran parte delle perdite dei Paesi a basso reddito.
Ondate di calore, periodi di siccità prolungata e inondazioni stanno minacciando soprattutto larghe fasce di popolazione. In particolare, ha sottolineato Marina Romanello dell’University College di Londra, tra gli autori dello studio, “la vulnerabilità dell’Europa e del Mediterraneo orientale all’esposizione al calore è maggiore rispetto a quella dell’Africa e del Sud-est asiatico. Molto probabilmente a causa dell’alta porzione di anziani che vivono nelle aree urbane in queste regioni: si tratta di una fascia di popolazione particolarmente vulnerabile a ictus e problemi renali legati ai colpi di calore perché maggiormente affetta da malattie croniche”.
Nel solo 2017, l’esposizione alle alte temperature ha comportato anche più di 1,7 milioni di ore di lavoro perse in Italia, il 67% delle quali ha riguardato il comparto agricolo. A livello europeo, “la produttività del lavoro risentirà dei cambiamenti climatici, con un calo nell’ordine dell’11,2% nel settore agricolo e dell’8,3% in quello industriale entro il 2080” ha aggiunto Shouro Dasgupta, ricercatore presso CMCC@Ca’Foscari. “Gli impatti sull’Italia sono anche maggiori, con una riduzione rispettivamente del 13,3% e dell’11,5%. È importante sottolineare che i cambiamenti climatici, oltre a danneggiare l’economia italiana con un calo del PIL dell’8,5% al 2080, aumenteranno anche le disparità di reddito interne al paese, aggravando il divario Nord-Sud: tutto ciò avrà implicazioni significative per la salute”.
Dal rapporto emerge che l’utilizzo di fonti fossili rappresenta una minaccia consistente per la salute umana, sia per i danni causati dall’inquinamento dell’aria che per i cambiamenti climatici che derivano dalla combustione di idrocarburi. Dimostrazioni tangibili sono il numero elevatissimo di morti per esposizione a particolato e la diffusione di malattie infettive. “Utilizzare le fonti fossili per la produzione di energia significa non solo aggravare il problema del riscaldamento globale, ma anche peggiorare la qualità dell’aria”, ha affermato Romanello. “E su questo l’Italia detiene un triste primato, con 45.600 decessi prematuri a seguito dell’esposizione a PM2.5 solo nel 2016. Si tratta del valore più alto in Europa e dell’undicesimo più alto nel mondo, che si traduce in una perdita economica di 20,2 miliardi di euro”.