di Francesco Ninfole
La spread non è un indicatore virtuale, ma al contrario è un segnale dei timori degli investitori sulla sostenibilità del debito italiano. Un nuovo promemoria in tal senso è arrivato ieri da Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’Ivass, al congresso della Fisac/Cgil: «Il maggior rendimento richiesto da chi acquista titoli di alcuni Stati non è che la copertura dal rischio di “fallimento” di uno Stato o addirittura di rottura dell’euro». Un rischio «molto piccolo, naturalmente, ma non più nullo o quasi nullo come in passato». L’analisi di Rossi non si discosta da quelle dei giorni scorsi del governatore Ignazio Visco e dell’ultimo rapporto di stabilità di Banca d’Italia, tranne che per l’uso della parola «fallimento», che nel testo ufficiale è stata messa tra virgolette. Non c’è un allarme immediato sul debito italiano, ma la registrazione di quanto sta avvenendo sui mercati: da alcuni mesi gli operatori considerano più rischiosa l’esposizione verso il Tesoro, a cui chiedono perciò tassi più alti. Gli effetti poi ricadono a cascata sulle casse pubbliche, le banche, le famiglie e le imprese. La spesa statale è già aumentata di 1,5 miliardi: salirebbe di altri 5 miliardi nel 2019 e di circa 9 miliardi nel 2020. Le banche devono riportare svalutazioni sul patrimonio e pagare tassi più alti perché gli investitori sottoscrivano i loro bond (si veda altro articolo in pagina). Il tutto si traduce in maggiori costi di finanziamento e meno credito per imprese e famiglie.
A monte del meccanismo c’è la preoccupazione degli investitori per i conti pubblici italiani. Non a caso lo spread è sceso dopo l’apertura di Lega e Cinque Stelle a modifiche della manovra. Ieri il differenziale sui Btp-Bund decennali è calato di 3 punti base a quota 294. Più forte la discesa dello spread a due anni, che è arrivato a 142 punti. Ma i livelli restano alti rispetto agli altri Paesi e resta da capire come andrà avanti la trattativa tra Roma e Bruxelles.
I riferimenti di Rossi allo spread sono stati inseriti all’interno di un’analisi sull’Eurozona: «Da otto anni si è incrinata la precedente convinzione che i Paesi fossero avviati verso un percorso virtuoso di riforme strutturali e che l’euro fosse un monolite eterno». Le prossime riunioni dei ministri finanziari discuteranno il potenziamento dell’Esm e il bilancio dell’Eurozona. La sfiducia tra Stati ha già segnato la nascita dell’Unione bancaria: «Si tratta di una costruzione meritoria originariamente concepita per interrompere il circolo vizioso tra settore bancario ed emittenti sovrani», ha detto Rossi, ma poi «è rapidamente divenuta il mezzo per rendere quasi impossibili i salvataggi da parte degli Stati nazionali delle proprie banche». Il dg di Bankitalia ha sottolineato «la preoccupazione di molti governi di non vedersi coinvolti in salvataggi bancari di Paesi periferici». (riproduzione riservata)
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