Le conclusioni che si traggono dal confronto delle ultime quattro edizioni dell’indagine
di Alessandro Polli*
Commentiamo sinteticamente i principali risultati emersi dall’indagine che, giunta alla sua ventesima edizione, presentiamo ai lettori di ItaliaOggi Sette.
Anche quest’anno risultano ampiamente confermate le due tendenze di fondo emerse nelle ultime edizioni della ricerca. La prima riguarda l’attenuazione di tutti quei fenomeni di polarizzazione territoriale più direttamente correlati al benessere economico, tendenza ancora in atto e che consente di fornire, da questo particolare punto di vista, una nuova lettura della qualità della vita.
Non più quindi contrapposizione tra un Centronord genericamente «affluente» e avanzato contro un Mezzogiorno arretrato, ma una serie di letture trasversali dove province «minori», non necessariamente collocate nel Nord del Paese, contraddistinte da un notevole dinamismo, non soltanto imprenditoriale, e da condizioni economiche favorevoli (elevati tassi di crescita del valore aggiunto, bassa inflazione, valori immobiliari contenuti), si contrappongono a contesti metropolitani sempre più statici e non più idonei a garantire condizioni di vita accettabili ai loro residenti.
La seconda tendenza, che è verosimilmente collegata alla precedente, riguarda l’emersione di significative aree di disagio sociale e personale non necessariamente dislocate in Italia meridionale e insulare.
Nella sua evoluzione storica, il fenomeno che etichettiamo come «qualità della vita» è caratterizzato da un percorso non lineare, determinato com’è da un insieme estremamente complesso di fattori che si sovrappongono e interagiscono tra loro su e nel territorio, ed è solo nel lungo periodo che risulta possibile individuare dinamiche e tendenze di fondo. Appare quindi utile utilizzare un indicatore che sintetizzi lo «stato» della qualità della vita nel nostro Paese: nella nostra indagine, facciamo riferimento al numero di province in cui la qualità della vita è scarsa o insufficiente e la relativa popolazione.
Prima di procedere con il commento dei principali risultati, è doverosa una premessa. A seguito della legge regionale n. 2 del 4 febbraio 2016 si è proceduto al riaccorpamento delle otto province sarde e all’istituzione della provincia del Sud Sardegna, che comprende i vecchi territori delle province del Medio Campidano e di Carbonia-Iglesias, nonché i comuni della provincia di Cagliari non ricompresi nell’area metropolitana del capoluogo regionale, più due comuni già appartenenti rispettivamente alla provincia di Oristano (Genoni) e dell’Ogliastra (Seui). Quindi, le province sarde passano da 8 a 5 e la nuova articolazione provinciale del territorio italiano passa da 110 a 107 province. Naturalmente, per esigenze di armonizzazione delle informazioni statistiche recentemente pubblicate mantenendo la vecchia articolazione territoriale, ancora per quest’anno la nostra indagine seguirà la vecchia classificazione basata su 110 province.
Fatta questa premessa, passiamo al commento sulla qualità della vita nelle province italiane. Nel complesso, sono 59 su 110 le province nelle quali quest’anno la qualità della vita è risultata buona o accettabile. Questo risultato può essere confrontato con quello osservato nelle quattro passate edizioni, allo scopo di ragionare su un orizzonte temporale quinquennale.
Nel 2014 le province classificate nei primi due gruppi ammontavano a 55. L’anno successivo, il 2015, le province censite nei primi due gruppi scendevano a 53, per poi stabilizzarsi a 56 nei due anni successivi.
Nel 2018, con 59 province su 110 in cui la qualità della vita è risultata buona o accettabile (tab. 1), si registra il migliore risultato degli ultimi cinque anni. Risultato importante perché si verifica in un contesto non facile per il paese, con importanti segnali di rallentamento dell’economia a livello internazionale.
Tradotto in termini di popolazione (tab. 2), significa che oltre il 52% della popolazione italiana, era circa il 58% lo scorso anno, vive in territori contraddistinti da una qualità della vita scarsa o insufficiente.
Più in particolare, facendo riferimento alla popolazione classificata per macro-ripartizione geografica e raggruppamento in classifica generale, è immediato verificare che la popolazione in tali aree ammonta a 31 milioni 760 mila residenti, contro i 35 milioni 161 mila della passata edizione.
Va inoltre osservato che, restringendo l’attenzione al gruppo 4, la popolazione residente in province caratterizzate da un livello insufficiente di qualità della vita ammonta quest’anno al 23,9% della popolazione italiana (contro il 25,5% registrato lo scorso anno e il 31,8% del 2016), a dimostrazione quindi di un incoraggiante miglioramento della qualità della vita e, soprattutto, di una sostanziale attenuazione della polarizzazione territoriale.
Infatti nel 2014, fra le 55 province classificate nei due gruppi di coda, figuravano 6 province del Nordovest, 1 al Nordest, 8 in Italia centrale e 40 su 41 dell’Italia meridionale e insulare. Nel 2015, delle 57 province in cui la qualità della vita è risultata scarsa o insufficiente, 6 appartenevano al Nordovest, 4 erano ricomprese nel Nordest, 9 in Italia centrale e 38 su 41 in Italia meridionale e insulare. Nel 2016, fra le 54 province classificate negli ultimi due gruppi, 6 erano censite nel Nordovest, 2 nel Nordest, 7 in Centro Italia e 39 su 41 nel Sud e Isole. Lo scorso anno, infine, fra le 54 province, dato stabile rispetto all’anno precedente, ricomprese negli ultimi due gruppi, 8 appartenevano al Nordovest, 3 al Nordest, 8 al Centro e 35 su 41 al Mezzogiorno.
Tali linee di tendenza risultano sostanzialmente confermate anche nel 2018. Infatti, con riferimento ai due gruppi di coda, 8 sono dislocati nel Nordovest, 2 nel Nordest, 5 in Italia centrale e 36 su 41 in Italia meridionale e insulare. In sintesi, a fronte di un risultato stabile nel Nordovest e nel Mezzogiorno, la situazione tende a migliorare nettamente nel Nordest e al Centro.
Tale risultato è in linea con quanto verificatosi a partire dal 2010. Infatti, con riferimento alle ultime 9 edizioni, il numero non è casuale, ma coincide con le più importanti variazioni metodologiche introdotte nell’indagine, abbiamo assistito a un progressivo aumento della vulnerabilità territoriale del Nordovest, come esito ultimo dei processi di deindustrializzazione e ristrutturazione produttiva che hanno coinvolto il quadrante nord-occidentale del Paese negli ultimi dieci anni, e alla permanenza di problemi strutturali tuttora irrisolti che si traducono in bassi livelli di qualità della vita in Italia meridionale. Le province medio-piccole del Nordest e del Centro, viceversa, mostrano un notevole grado di «resilienza», determinato forse dalla struttura del tessuto produttivo e da altri fattori che sarebbe lungo affrontare in questa sede.
Nelle restanti 59 province la qualità della vita è risultata buona o accettabile, con alcuni sostanziali elementi di continuità rispetto al 2017. Come di consueto, i gruppi 1 e 2 comprendono gran parte delle province dell’arco alpino centrale e orientale, della Pianura padana e dell’Appennino tosco-emiliano, con consolidate ramificazioni verso Toscana, Umbria e Marche.
La qualità della vita nelle province del Nordovest è sostanzialmente stabile rispetto al 2017 e tale fenomeno è evidente anche in termini di presenza nei primi due gruppi, dove figurano 17 province del Nordovest, come lo scorso anno. Quanto al Nordest, la situazione è nella media dei livelli registrati nelle passate edizioni dell’indagine. Passando all’Italia centrale, come si notava in precedenza, la situazione appare in miglioramento. Nel 2014 figuravano nei primi due gruppi 14 province del Centro, di cui una (Siena) stabilmente ricompresa nel gruppo di eccellenza, dato sostanzialmente confermato anche nel 2015 (con 13 province classificate), nel 2016 (15 province) e nel 2017 con 14 province. Quest’anno il numero di province dislocate in Italia centrale e classificate nei primi due gruppi sale a 17, di nuovo il migliore risultato nel quinquennio.
Da un sommario esame delle 25 posizioni di testa (contro le 23 dello scorso anno) troviamo nel raggruppamento di testa 8 province del Nordovest (Cuneo in Piemonte, Aosta e 6 province lombarde, nell’ordine Sondrio, Lecco, Mantova, Lodi, Brescia e Cremona), dato sostanzialmente invariato rispetto alla passata edizione; 11 province del Nordest contro le 14 del 2017 (Bolzano e Trento, prima e seconda classificata, in rappresentanza del Trentino-Alto Adige; 4 province venete, nell’ordine Belluno, Treviso, Verona e Padova; Pordenone e Udine in Friuli-Venezia Giulia; Parma, Reggio Emilia e Modena in Emilia Romagna) e infine sei province dell’Italia centrale, contro le due censite nella passata edizione (Siena e Arezzo in Toscana; Perugia in rappresentanza dell’Umbria; Ancona, Ascoli Piceno e Macerata nelle Marche).
Anche dai risultati della presente indagine risulta quindi confermato che il Nord non è tutto uguale. C’è un Nord di province di dimensioni medio-piccole caratterizzate da livelli di qualità della vita elevati e stabili nel tempo. C’è un Nord di centri urbani di dimensioni grandi e medio-grandi che, al contrario, fatica a raggiungere e mantenere posizioni di eccellenza. Uno dei risultati sostanzialmente confermati anche quest’anno è la posizione di vertice delle province del Trentino-Alto Adige e di alcune province venete, che si collocano nelle zone alte della graduatoria fin dalle prime edizioni dell’indagine. L’altra conferma riguarda gli effetti della congiuntura economica: una situazione di crisi economica che tende ad avere ripercussioni più severe nel Nordovest che nel nord est, determinando l’emersione di fenomeni di vulnerabilità territoriale.
In ultimo notiamo l’arretramento della provincia di Roma, che oltre a ospitare la capitale è anche la più popolata del nostro paese. Come va interpretato questo risultato? Con una notevole dose di prudenza. Sulla scorta dell’esperienza di 20 edizioni dell’indagine, sappiamo che si tratta di un risultato contingente, fortemente condizionato dagli stretti legami con la congiuntura internazionale, per cui è rischioso dedurne uno stabile peggioramento della qualità della vita per i residenti della capitale. Come di consueto, la «conoscenza statistica» è un supporto prezioso per capire il mondo reale, ma non potrà mai sostituire metodologie di analisi della realtà più immediate e dirette.
La prima e l’ultima
Bolzano è la provincia che ha registrato i più elevati livelli di qualità della vita nel 2018. Questo risultato non è inaspettato, in quanto la provincia altoatesina si era già classificata al primo posto nel 1999, anno della prima edizione dell’indagine, nel 2001, nel 2007 e ancora lo scorso anno e si è sempre piazzata nelle zone alte della classifica.
Come lo scorso anno, Bolzano si colloca nel gruppo 1 in sei dimensioni su nove (affari e lavoro, disagio sociale e personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, tempo libero e tenore di vita, cfr. tab. 3) e figura nel gruppo 2 nelle restanti dimensioni, evidenziando un miglioramento rispetto ai già notevoli piazzamenti conseguiti lo scorso anno.
Valutiamo quali sono stati i principali elementi del successo di Bolzano nel confronto con Vibo Valentia, ultima classificata quest’anno, con l’ausilio di un diagramma radar, che esprime la posizione complessiva di una singola provincia in termini di aree. Quanto più l’area è estesa, tanto più risulta elevata la qualità della vita del territorio analizzato. La superficie teorica massima, quella in corrispondenza della quale si avrebbe la qualità della vita in astratto più elevata (ovvero un punteggio pari a 1.000 in tutte le dimensioni d’analisi), coincide con un poligono, in cui il numero di lati è pari al numero delle dimensioni di analisi.
Il risultato di eccellenza ottenuto quest’anno da Bolzano è congruente con quello delle altre province classificate al primo posto nelle ultime edizioni dell’indagine. Infatti la provincia altoatesina si è piazzata nel gruppo 1 in 6 dimensioni su 9, così come Trento e Mantova negli anni precedenti, a dimostrazione del fatto che i requisiti per ambire alla prima posizione si sono fatti sempre più selettivi, rispetto alle prime edizioni.
Quanto a Vibo Valentia, la provincia che si piazza all’ultimo posto in classifica nel 2018, è per certi versi un caso paradigmatico di provincia del Mezzogiorno, di cui presenta le tipiche criticità in tutti gli aspetti relativi alla qualità della vita, a eccezione della dimensione demografica, dove di norma è caratterizzata da risultati significativamente superiori alla media nazionale.
Vibo Valentia si classifica nel gruppo 4 in 5 dimensioni su 9 (affari e lavoro, disagio sociale e personale, servizi finanziari e scolastici, tempo libero, tenore di vita), si classifica nel gruppo 3 nella dimensione dell’ambiente, in quella della criminalità e in quella relativa al sistema salute e si classifica nel gruppo 1 soltanto nella dimensione della popolazione.
Le grandi città
Per quanto riguarda le grandi aree urbane, cioè le province che accolgono un centro urbano con popolazione superiore al milione di abitanti, a differenza della passata edizione dell’indagine rileviamo una sostanziale stabilità nei risultati, a eccezione di Roma, che arretra notevolmente rispetto allo scorso anno.
Torino infatti rimane sostanzialmente stabile cedendo una sola posizione rispetto allo scorso anno e attestandosi al 78° posto in classifica generale; Milano conferma la battuta di arresto già osservata nei tre anni passati, sebbene acquisti due posizione rispetto alla passata edizione e si piazza al 55° posto. Napoli è stabile al 108° posto come nei due anni passati, mentre Roma, dopo essere scivolata nel gruppo di coda due anni fa e dopo avere recuperato 21 posizioni lo scorso anno, cede quest’anno 18 posizioni e si colloca all’85° posto.
Vale ovviamente l’avvertenza già fatta in precedenza: è un risultato contingente, fortemente condizionato dagli stretti legami con la congiuntura internazionale, per cui è rischioso dedurne uno stabile peggioramento della qualità della vita per i residenti della Capitale.
Con riferimento ai grandi centri urbani del centro nord, non risulta confermata quest’anno la tendenza osservata nelle due passate edizioni dell’indagine, il marcato miglioramento del tenore di vita, con andamenti nettamente divergenti tra Torino, che arretra, e Milano, stazionaria nelle parti alte della classifica. Tale difformità di andamento è determinata da molteplici fattori, che hanno interessato sia gli indicatori compresi nella sottodimensione positiva (spesa media mensile pro capite per consumi, importo medio mensile dei trattamenti pensionistici, valore aggiunto pro capite, depositi bancari pro capite), sia quelli appartenenti alla sottodimensione negativa (valori immobiliari e variazione annua dei prezzi al consumo).
Analizziamo cosa è cambiato nel corso dell’ultimo anno, considerando in primo luogo la dimensione Affari e lavoro, che raccoglie informazioni sulla dinamica occupazionale e imprenditoriale e sul grado di sicurezza «ambientale» per le attività produttive. La situazione si presenta alquanto omogenea, con una generale tendenza al miglioramento, a eccezione di Roma. Torino conquista 14 posizioni e si attesta al 36° posto; Milano è stabile in 10ª posizione; Napoli guadagna 15 posizioni e sale al 94° posto. Roma viceversa cede 15 posizioni e si classifica all’80°.
L’ambiente rappresenta uno dei principali elementi di criticità nelle grandi aree urbane. Ricordiamo ai lettori che dal 2013 molti indicatori sono tratti dall’Indagine sulla qualità dell’ambiente urbano pubblicata dall’Istat, che presenta un maggiore dettaglio territoriale, e da altre indagini pubblicate dal nostro istituto di statistica. A partire dalla presente edizione, sono state introdotte alcune variazioni nella metodologia, che valorizzano le iniziative locali in direzione della ecosostenibilità. Tali variazioni hanno determinato un netto peggioramento delle valutazioni delle grandi aree urbane, che cedono molte posizioni in classifica: Torino perde 12 posizioni e scivola al 108° posto, Milano ne cede 54 a scivola in fondo alla classifica dell’ambiente, Roma a sua volta perde 12 posizioni e si attesta al 96° posto, mentre Napoli scivola di 9 posizioni e si colloca al 101°.
In tema di Criminalità la situazione è comune e come sempre estremamente preoccupante: tutte le aree urbane analizzate si classificano ben oltre l’ottantesimo posto. Torino, Milano e Napoli sono stabili, rispettivamente in 99ª, 108ª e 105ª posizione. Sostanzialmente stabile anche Roma, che passa dalla 104ª alla 103ª posizione. Ad ogni modo, tutte le aree urbane restano ben salde nelle posizioni di coda.
Con riferimento al Disagio sociale e personale, la situazione si presenta come sempre di non univoca interpretazione. Ad eccezione di Roma, la situazione sul versante del disagio sociale e personale appare quest’anno in miglioramento. Infatti Torino guadagna 12 posizioni e passa dall’83° al 71° posto, Milano acquista 13 posizioni e si porta dal 50° al 37° posto, Napoli guadagna ben 49 posizioni e passa dal 90° al 49° posto in classifica. Roma al contrario perde 13 posizioni (35 negli ultimi tre anni) e passa dal 64° al 77° posto.
Nelle passate edizioni si osservava che la spinta propulsiva della dimensione demografica nelle grandi aree urbane fosse esaurita, a eccezione di Napoli. Il fenomeno, dopo qualche timido segno di ripresa registrato nella passata edizione, risulta anche quest’anno sostanzialmente confermato. Infatti Torino passa dal 82° all’86° posto, Milano acquista 4 posizioni e si attesta al 53° posto come due anni fa, Roma cede 7 posizioni e si colloca al 36° posto, mentre Napoli perde una posizione (ma nel complesso ne acquista 25 negli ultimi tre anni) e passa dal 8° al 9° posto, compensando quindi pienamente la caduta registrata nel 2015.
Nella dimensione dei servizi finanziari e scolastici gli andamenti sono relativamente omogenei, con tendenza a un lieve peggioramento, che coinvolge tutte le aree urbane a eccezione, ancora una volta, della provincia partenopea. Torino cede 13 posizioni e passa dal 51° al 64° posto, Milano ne perde 4 e si porta in 41° posizione, Roma ne cede 7 a si piazza al 69° posto. Di nuovo, Napoli è in controtendenza; infatti scala 10 posizioni e si piazza all’89° posto, allontanandosi dalla coda della classifica.
Anche quest’anno si manifesta una certa stabilità nella dimensione del sistema salute, con tendenza al peggioramento. Torino cede 3 posizioni e passa dal 50° al 53° posto in classifica, Milano è sostanzialmente stabile al 5° posto, Roma cede una posizione e si classifica al 11° posto. Napoli registra la situazione peggiore, in linea con quanto registrato negli ultimi 4 anni, cedendo altre 15 posizioni (58 negli ultimi tre anni) e collocandosi al 88° posto.
Nella dimensione del Tempo libero, anche per effetto della distinzione, operata a partire dall’edizione 2014, delle informazioni sulla dotazione in strutture destinate al tempo libero e strutture adibite al turismo, la situazione appare nettamente stabile. Il capoluogo piemontese infatti acquista 2 posizioni e passa dal 66° al 64° posto in graduatoria, Milano acquista 2 posizioni e si colloca al 70°, Roma ne acquista tre e si porta al 49° posto (e quindi, per quanto possa apparire paradossale, una delle principali mete del turismo internazionale è caratterizzata da una dotazione sottodimensionata rispetto a quella delle province comprese nel gruppo di testa), mentre Napoli, per cui potrebbe valere la stessa osservazione riferita alla Capitale, scala due posizioni e si porta al 90° posto.
È nella dimensione del tenore di vita, come si osservava in precedenza, che si registra un sostanziale arretramento. Torino cede 14 posizioni e si porta al 29° posto in classifica. Milano è sostanzialmente stabile in testa alla classifica, passando dal 3° al 2° posto. Roma cede 26 posizioni e passa dal 28° al 54° posto. Napoli è stabile in posizioni di coda, confermando il 109° posto già conseguito nella passata edizione.
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Criminalità
Treviso è la provincia più sicura d’Italia, confermando il risultato di eccellenza dello scorso anno. Seguono Rieti, Belluno e Pordenone, che a loro volta confermano ancora una volta la loro presenza nelle zone alte della classifica. Così come risultano confermati i piazzamenti di Oristano, Vicenza e Lecco. Le province comprese nel gruppo di testa sono 29, contro le 30 della passata edizione, con l’ormai consolidata nutrita presenza di outsider (fenomeno che può essere spiegato con semplicità) e di molte province di piccole dimensioni. L’esame della mappa della criminalità, pur evidenziando una ulteriore piccola contrazione nella consistenza del gruppo di testa, denota anche una sostanziale stabilità nelle posizioni di coda.
Infatti, quest’anno le province in cui la situazione con riferimento alla criminalità è risultata buona o accettabile ammontano a 62, due in più rispetto allo scorso anno, un risultato stabile nel tempo e molto positivo. Delle 29 province comprese nelle posizioni di eccellenza, 8 sono nel Nordovest (contro le 6 del 2017), di cui Cuneo e Biella in Piemonte, Aosta, più 5 province lombarde, come lo scorso anno (nell’ordine Lecco, Lodi, Monza e della Brianza, Sondrio e Como); 6 nel Nordest, come nella passata edizione, fra cui Trento in Trentino-Alto Adige; Treviso, Belluno e Vicenza in Veneto, presenze che si confermano da cinque anni; Pordenone e Udine in Friuli-Venezia Giulia; 5 province nell’Italia centrale, di nuovo come lo scorso anno, fra cui figurano la provincia umbra di Terni, Pesaro e Urbino e Ascoli Piceno in rappresentanza delle Marche e Rieti nel Lazio; infine 10 nel Mezzogiorno, contro le 13 della passata edizione, tra cui figurano L’Aquila e Chieti in Abruzzo, Benevento in Campania, Lecce in Puglia, Matera in Basilicata, più 4 delle 8 province sarde, nell’ordine Oristano, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano e Cagliari.
La situazione sul fronte della criminalità si presenta sostanzialmente stabile anche nelle posizioni di coda, in cui figurano 20 province, contro le 19 della passata edizione. Il gruppo 4 comprende nel Nordovest Torino in Piemonte; Milano, che conferma i piazzamenti già conseguiti negli anni scorsi, in 108ª posizione; Genova, La Spezia e Imperia in Liguria; nel Nordest figurano Trieste in Friuli-Venezia Giulia e 3 province dell’Emilia-Romagna, nell’ordine Ravenna, Bologna e Rimini. Per l’Italia centrale, vi è una massiccia presenza di province toscane, nell’ordine Livorno, Grosseto, Prato, Firenze e Pisa, e Roma per il Lazio. Infine, l’Italia meridionale e insulare figura con 5 province, una in meno rispetto alla passata edizione, di cui Napoli in Campania; Bari e Foggia in Puglia, Trapani e Siracusa in Sicilia. L’indagine 2018 conferma, come nelle passate edizioni, la permanenza nelle posizioni di coda dei grandi centri urbani. Rimini chiude la classifica in ultima posizione.
Servizi finanziari
Parma si classifica al primo posto, confermando gli eccellenti piazzamenti già conseguiti nelle passate edizioni. Seguono Siena (che conferma il risultato dello scorso anno), Trento (prima nelle due passate edizioni) e Piacenza.
Nel gruppo di testa troviamo 10 province del Nord-ovest, fra cui 2 in Piemonte (Cuneo e Vercelli); Aosta; 6 province lombarde (nell’ordine Mantova, Cremona, Brescia, Lecco, Lodi e Bergamo) e La Spezia in Liguria.
Il Nordest è rappresentato da 13 province, fra cui figurano le due province del Trentino-Alto Adige; Belluno e Verona in Veneto; 3 delle 4 province del Friuli-Venezia Giulia (nell’ordine Udine, Gorizia e Pordenone); 6 delle 9 province dell’Emilia-Romagna (nell’ordine Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia, Ravenna e Forlì-Cesena).
L’Italia centrale è rappresentata da 5 province, fra cui Siena, Grosseto e Lucca in Toscana; Ascoli Piceno e Ancona nelle Marche.
Negli ultimi anni, l’indagine ha evidenziato una schiacciante prevalenza nelle prime 50 posizioni delle province di dimensioni medio-piccole dell’Italia centro-settentrionale e l’assenza delle grandi città del Centronord dal gruppo di eccellenza.
I grandi centri urbani del Centronord continuano a confermare tale regolarità, con la parziale eccezione di Firenze, che scala 10 posizioni e si piazza al 31° posto. Roma ne cede 5 e si piazza al 67° posto. Milano perde 4 posizioni e si piazza al 41° posto. Genova perde 3 posizioni e si attesta al 60°, mentre Torino perde ben 13 posizioni e scende al 64° posto.
Sistema salute
Nelle 21 posizioni di testa diminuisce leggermente la presenza di province dell’Italia del Nordovest e rimane stabile quella di province dell’Italia centro-meridionale. Nel gruppo di eccellenza troviamo 6 province del Nordovest, fra cui figurano Alessandria in Piemonte, Aosta, le province di Milano, Sondrio e Cremona per la Lombardia, Genova in Liguria.
Il Nordest è rappresentato da 4 province, fra cui Rovigo e Belluno in Veneto; Trieste e Pordenone in Friuli-Venezia Giulia. L’Italia centrale è rappresentata da 5 province, fra cui figurano Pisa, Siena e Grosseto in Toscana,
Ancona nelle Marche e Roma nel Lazio. L’Italia meridionale e insulare figura con 6 province, fra le quali Isernia e Campobasso in Molise; Potenza in Basilicata; Catanzaro in Calabria, Cagliari e Carbonia-Iglesias in Sardegna.
A ogni modo, la scarsa consistenza del primo gruppo segnala che nelle province italiane la dotazione di servizi sanitari si attesta in prevalenza su livelli medi o medio-bassi. In generale, per quanto riguarda la distribuzione territoriale dei servizi, questa si presenta ampiamente eterogenea. I servizi sanitari si concentrano prevalentemente nelle province in cui è presente un grande centro urbano (Roma, Milano), in poli di eccellenza nella ricerca medica (Pisa, Siena), ma esistono anche altri fattori. L’eterogeneità nella distribuzione territoriale delle strutture sanitarie riflette verosimilmente le caratteristiche dei rispettivi bacini di utenza o specifiche scelte politiche nazionali e soprattutto locali.
Va comunque notato che nelle prime 50 posizioni figurano tutte le province in cui sono presenti centri urbani di dimensioni medie e grandi. Nel complesso, il numero di province in cui la dotazione di servizi medico-ospedalieri e diagnostici risulta scarsa o insufficiente ammonta a 55 unità.
Le posizioni di coda comprendono 21 province. Di queste, 3 sono dislocate nel Nordovest, Asti e Biella in Piemonte e Como in Lombardia; 2 nel Nordest, fra cui Treviso in Veneto e Reggio Emilia in Emilia-Romagna; 3 in Italia centrale, di cui Fermo nelle Marche, Viterbo e Latina nel Lazio; 13 infine in Italia meridionale e insulare, fra le quali sono presenti Salerno, Avellino e Caserta in Campania, Brindisi e Taranto in Puglia, Reggio Calabria e Cosenza in Calabria, Trapani, Enna, Siracusa e Agrigento in Sicilia, Oristano e Medio Campidano in Sardegna.
Tenore di vita
Apre la classifica relativa al tenore di vita Parma e, a seguire, Milano (terza nell’anno passato), Reggio Emilia e Trieste. La presenza di outsider può essere facilmente spiegata, in quanto improvvisi salti in classifica sono generalmente causati dall’andamento degli indicatori compresi nella sottodimensione negativamente associata alla qualità della vita (prezzo al metro quadro per appartamento in zona semicentrale, variazione dei prezzi al consumo), il cui andamento non è uniforme nel tempo, ma al contraria presenta una marcata volatilità.
Tra le 26 posizioni di testa (come lo scorso anno) figurano quasi esclusivamente province dell’Italia settentrionale. Nel Nordovest figurano 15 province, fra cui 6 in Piemonte, una in più rispetto allo scorso anno, nell’ordine Alessandria, Novara, Biella, Vercelli, Asti e Torino; Aosta; 8 province lombarde, nell’ordine Milano, Cremona, Varese, Brescia, Pavia, Sondrio, Mantova e Como; la provincia di Genova in Liguria. Il Nord est è rappresentato da 9 province, come nella passata edizione: le due province del Trentino-Alto Adige; Belluno in Veneto; le province del Friuli-Venezia Giulia a eccezione di Gorizia; 6 delle 9 province dell’Emilia-Romagna, nell’ordine Parma, che come si è detto si piazza in prima posizione, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara e Piacenza. Relativamente all’Italia centrale, è rappresentata dalla sola provincia toscana di Livorno.
A differenza degli anni passati, si stanno ripresentando fenomeni di polarizzazione tra Nord e Sud, che si erano attenuati nelle passate edizioni della presente indagine. Sebbene negli ultimi anni la situazione sia relativamente articolata e di difficile lettura, con province del Nordovest che figurano nel gruppo 3, province del Nordest addirittura nel gruppo 4, le province del Centro disseminate come quelle del Nordovest nei primi tre gruppi, quest’anno le province del Mezzogiorno, a differenza delle passate tre edizioni, si classificano solo negli ultimi due gruppi. Effetto del profondo mutamento della struttura territoriale dei prezzi al consumo e dei valori immobiliari, che presentano dinamiche marcatamente differenziate sul territorio nazionale e determinano effetti rilevanti in termini di potere di acquisto e accesso a un immobile di proprietà.
Le 28 province classificate nel gruppo di coda (erano 17 nella passata edizione) comprendono quest’anno una provincia del Nordest (Venezia) e 27 province dell’Italia meridionale e insulare. Vi figurano le due province del Molise; le cinque province campane; 3 delle 6 province pugliesi, nell’ordine Lecce, Barletta-Andria-Trani e Bari; Matera in Basilicata; le cinque province calabresi; 7 delle 9 province siciliane, a eccezione di Caltanissetta e Ragusa; le quattro province «storiche» della Sardegna, nell’ordine Cagliari, Oristano, Sassari e Nuoro.
Chiude la classifica la provincia campana di Benevento, come lo scorso anno.
Popolazione
Si conferma la posizione di eccellenza di Bolzano, che confermando il risultato dei tre anni precedenti apre la classifica relativa alla popolazione. Segue come lo scorso anno Barletta-Andria-Trani, e a seguire Caserta, 5° lo scorso anno, e Ragusa, già al quarto posto anche nella passata edizione.
Osservando che, per la particolare natura delle variabili demografiche, la dimensione della popolazione è sempre caratterizzata da una elevata stabilità, si confermano le tendenze già osservate nelle passate edizioni dell’indagine. Delle 22 province che, come lo scorso anno, risultano classificate nel gruppo di testa, 3 si trovano nel nord-ovest, una in più rispetto al 2017, tutte situate in Lombardia (Bergamo, Brescia e Lodi); il nord-est è presente con 4 province (una in più rispetto alla passata edizione): le due province del Trentino-Alto Adige, Treviso e Verona in rappresentanza del Veneto. Per l’Italia centrale figurano 2 sole province, come nelle due passate edizioni, Prato in Toscana e Latina nel Lazio. In posizione di eccellenza, infine, sono presenti 16 province dell’Italia meridionale e insulare, rispetto alle 15 della passata edizione. Vi figurano 3 province in Campania (Caserta, Napoli e Salerno), 4 delle 6 province pugliesi (nell’ordine Barletta-Andria-Trani, Bari, Foggia e Taranto), tutte le province calabresi a eccezione di Cosenza, 4 province siciliane (Ragusa, Catania, Palermo e Siracusa) e Olbia-Tempio in Sardegna.
Nelle 23 posizioni di coda (una in più rispetto alle due passate edizioni) si conferma, come nei tre anni precedenti, una significativa presenza di province del nord ovest, che aumentano ulteriormente rispetto allo scorso anno, attestandosi a 11 unità, mentre è stabile quello di province del nord-est (6).
Nel gruppo di coda, come chiarito in precedenza, troviamo 11 province dell’Italia nord-occidentale, fra cui 5 delle 8 province piemontesi (nell’ordine Asti, Verbano-Cusio-Ossola, Alessandria, Vercelli e Biella), Aosta, Pavia in rappresentanza della Lombardia e le quattro province liguri. Il nord-est è rappresentato da Belluno e Rovigo per il Veneto; Udine, Gorizia e Trieste per il Friuli-Venezia Giulia; Ferrara in Emilia Romagna come lo scorso anno. L’Italia centrale vede la presenza di 3 province toscane (nell’ordine Livorno, Massa-Carrara e Grosseto), Terni in Umbria e Rieti nel Lazio, mentre l’Italia meridionale e insulare è rappresentata solo da Carbonia-Iglesias in Sardegna. Chiude la classifica Savona, già in ultima posizione nella passata edizione dell’indagine.
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