INFORTUNI
Una disputa giurisprudenziale che dura da mezzo secolo
Autore: Clemente Fargion
ASSINEWS 280 – novembre 2016
Premessa – Cos’è il danno patrimoniale?
Il danno patrimoniale è un termine controverso, quasi sofferto. Ciò accade a causa della sua composizione grammaticale fra un sostantivo (danno) che appartiene alla disciplina Giuridica ed a quella Assicurativa, ed un attributo (patrimoniale) che appartiene alla disciplina delle Scienze Economiche.
Volendo seguire la terminologia economica, il DANNO PATRIMONIALE dovrebbe essere, per dirla con rigore tecnico, una uscita di conto economico o una riduzione patrimoniale priva di contro-partita di bilancio, ma in termini più abbordabili ad un profano della materia, il danno patrimoniale è un pregiudizio avente rilevanza economica. Detto in questo modo, esso è applicabile anche al danno alla persona.
Dal punto di vista giuridico il danno patrimoniale sarebbe qualsiasi danno che presenti gli elementi oggettivi di misurabilità economica, che offrano la base per la quantificazione di un risarcimento esatto, pari alla perdita di valore subìta dal soggetto danneggiato ed a questi dovuta per legge, a titolo di ristoro, da parte di chi, sempre per legge, si sia reso responsabile dell’atto o dell’evento che abbiano prodotto il danno. Si nota fin dall’inizio di questa definizione, che c’è una coerenza totale con la definizione data in base alle scienze economiche. Poiché però le caratteristiche descritte accomunano tutti i danni dei quali possa essere richiesto il risarcimento nelle sedi civili, la necessità di definirlo patrimoniale è emersa solo quando i giudici, trovatisi di fronte a richieste di rifusione di danni di una natura del tutto differente, come l’afflizione psicologica di chi avesse patita una lesione fisica. Per poter distinguere dal danno tradizionalmente considerato, queste nuove tipologie di pregiudizio hanno assunto varie denominazioni, fra le quali spiccano il DANNO MORALE, il DANNO BIOLOGICO, il DANNO ALLA SALUTE, dei quali sarà data un’ampia illustrazione nel seguito.
Dal punto di vista assicurativo, il danno patrimoniale è menzionato quando, in presenza di una perdita economica cagionata a un terzo, senza avergli danneggiato alcun bene materiale, si erge l’etica della non risarcibilità, dando a questa presa di posizione la motivazione che si tratta di danno patrimoniale puro. Questa affermazione non è bilanciata in alcun modo da una tesi contraria, laddove nessuno ha mai definito non patrimoniale, o patrimoniale non puro, il danno risarcibile ai sensi di polizza di responsabilità civile.
Nel caso in cui la Giurisprudenza parla di danno non patrimoniale, le assicurazioni si pronunciano solo in presenza di un sinistro afferente la sezione RCO della polizza di responsabilità civile, e senza usare questo termine, bensì riparandosi dietro al termine danno biologico, che più che essere pronunciato viene ostentato, quasi fosse il simbolo di una conoscenza superiore.
In origine, quando questo termine fece la sua comparsa nel settore delle assicurazioni della responsabilità civile, era usato con coerenza rispetto all’insegnamento tratto dalla sentenza della Corte Costituzionale del 11-18/07/1991 n. 356, ma col passare del tempo, la giurisprudenza si è evoluta ed il testo della sezione RCO vedeva una partizione fra azione di rivalsa dell’INAIL e azioni di risarcimento ad altro titolo esercitate dal dipendente, per vedersi riconosciuto anche quanto l’INAIL non gli aveva corrisposto. Queste azioni di risarcimento che si sviluppavano al di fuori della competenza dell’INAIL, inglobavano, col passare del tempo, fattispecie dapprima non considerate, ma da tutti questi cambiamenti, la cultura assicurativa non sembra aver appreso alcunché, dal momento che quell’insieme di azioni continuava ad essere etichettato con il termine danno biologico, tenuto stretto con la sua franchigia di 2.500 €, eletta a simbolo di modernità, dopo che aveva sostituito gli originari 6 punti di invalidità permanente, ritenuti dai più una franchigia iniqua. Tutto ciò anche dopo che il D.Lgs 38/2000 aveva incluso nell’indennizzo dell’INAIL il danno biologico. Di fronte al carattere indiscutibilmente patrimoniale di tutti i danni materiali e diretti di cui si parla nella polizza incendio, furto, elettronica ed in ogni altra polizza del cosiddetto settore property, così come nel caso della polizza danni indiretti da interruzione di attività, l’uso del termine patrimoniale è totalmente assente, sia in forma scritta che verbale.
1 – Il danno patrimoniale riferito alla lesione personale
Con riferimento alla lesione personale, il danno patrimoniale viene tradizionalmente identificato nella perdita di reddito conseguente ad una interruzione dell’attività lavorativa, o nei casi peggiori, alla perdita definitiva della capacità di esercitare la propria attività. Una ricca giurisprudenza in materia ha visto confrontarsi opinioni non sempre improntate ad un comune punto di vista. Vi sono stati tentativi di considerare patrimoniale anche il cosiddetto danno biologico ed anche sull’accezione di quest’ultimo termine si è assistito ad un confronto di opinioni assai diverse fra loro.
Per inquadrare il tema da sviluppare, partiamo dalla descrizione degli effetti negativi che si producono nella persona, quando questa subisca una lesione personale. Questi effetti negativi sono stati descritti ed individuati nella loro veste giuridica in tempi diversi, ma li riportiamo in un elenco riepilogativo, per averne una visione d’assieme.
1) Menomazione fisico – anatomica
2) Perdita dell’abilità funzionale di alcuni organi, con riduzione della mobilità
3) Afflizione psicologica per aver patito i pregiudizi di cui ai punti 1) e 2)
4) Sensazione di disagio nel rapportarsi con i propri simili e sensazione frustrante di inferiorità derivante dalla ridotta abilità motoria
5) Perdita di reddito, per astensione temporanea forzata da lavoro o per la perdita definitiva della capacità di esercitarlo nelle forme e nei termini in cui ciò avveniva prima dell’accadimento.
La giurisprudenza ha unanimemente riconosciuto:
- nel punto 5) il danno patrimoniale da lesione personale.
- Nei punti 3) e 4) il danno non patrimoniale da lesione personale.
- Sui punti 1) e 2) non c’è una omogeneità di interpretazioni, ma con un orientamento prevalente a riconoscere il carattere non patrimoniale delle due tipologie di pregiudizio descritte in questi punti.
Secondo una nomenclatura più dettagliata, sono state assegnate le seguenti definizioni:
È interessante osservare che il danno biologico è da considerarsi il danno primario, nel quale si sostanzia la lesione personale in sè, mentre tutti gli altri danni, indicati dal punto 2) al punto 6) sono delle possibili conseguenze di secondo ordine. I danni del secondo ordine possono coesistere fra loro. Il caso di morte (6) si differenzia dagli altri, in quanto l’avente causa è un soggetto diverso dalla parte lesa. I pregiudizi 1) e 2) sono strettamente interconnessi, e risultano inscindibili per lesioni di una certa gravità, mentre per lesioni lievi possono essere disgiunti, qualora la menomazione non riguardasse una parte mobile. Secondo il parere di molti esperti, i due danni, biologico e salute, sono da considerarsi un tutt’uno.
La contesa, che ha visto il fiorire di opinioni diverse, talvolta contrastanti fra loro, riguarda questi due pregiudizi, che hanno conosciuto la denominazione di danno extra-patrimoniale, con l’intento di escluderli sia dalla categoria patrimoniale che da quella non patrimoniale, oppure sono stati, senza mezzi termini assegnati alla categoria di danni patrimoniali, ma secondo la maggioranza delle Corti e dei giuristi, sono stati mantenuti nella categoria dei danni non-patrimoniali. È stata anche pronunciata una sentenza dalla Corte di Cassazione, come vedremo in dettaglio più avanti, che sosteneva l’unificazione di tutti i danni diversi da quello patrimoniale propriamente detto, sotto la denominazione cumulativa di danni non patrimoniali, negando persino la validità del ricorso in giudizio per ottenere il ristoro delle quattro specie di danno separatamente, additando in particolare l’inutilità della definizione di un danno alla vita di relazione, o danno esistenziale, dalla stessa Corte ritenuto una replica del danno biologico.
Vediamo ora quali caratteristiche distinguono un danno patrimoniale da uno non patrimoniale, stando però al di fuori non solo del dibattito giurisprudenziale e delle ragioni addotte da chi abbia espresso un parere in merito, ma anche al di fuori del tema stesso della trattazione:
1.1 – Requisiti standard del danno patrimoniale
Per potersi definire patrimoniale, il danno deve derivare dal danneggiamento di un bene di proprietà, che richieda una spesa per ripristinarne l’integrità, o da una spesa ingente improvvisa sorta per ripristinare una situazione anomala (danno emergente), oppure dalla perdita di guadagno (lucro cessante). In breve è patrimoniale il danno che compromette, in tutto o in parte, l’integrità di un interesse economico. Deve inoltre avere requisiti di oggettiva riscontrabilità e, nel caso sia individuato un soggetto che ne risponda per legge, il suo risarcimento deve poter restituire l’integrità patrimoniale della quale l’avente diritto godeva prima del verificarsi dell’evento pregiudizievole. In altri termini, deve poter fare salvo il cosiddetto principio indennitario. Deve inoltre poter soggiacere al rigoroso principio dell’onere della prova.
1.2 – Requisiti standard del danno non patrimoniale
Il danno non patrimoniale riguarda esclusivamente le persone, in quanto i beni di proprietà ed il reddito prodotto hanno di per sè natura patrimoniale. Esso corrisponde ad un pregiudizio percepito in via soggettiva dal danneggiato, attenendo la sfera psicologica, ma può anche essere oggettivamente riscontrabile, come il danno all’integrità fisico anatomica o quello all’abilità motoria. Lo schock, la depressione, la sofferenza, il dolore, il disagio e per dirla con un unico termine latino caro ai giuristi che hanno studiato il problema, il pretium doloris, sono tutti danni tipicamente non patrimoniali, in quanto non hanno di per sè un valore economico. Tuttavia il giudice può stabilire che chi abbia provocato questo genere di pregiudizi al danneggiato, debba riconoscere a quest’ultimo un equo indennizzo di entità tale da compensare il male patito. Questo principio si basa sul presupposto che il ricevere una ingente somma in danaro sia un evento portatore di soddisfazione, e che la soddisfazione è in qualche modo proporzionale alla somma ricevuta. Pertanto può essere stabilita, con totale discrezionalità del giudice, quella soglia di valore economico che produca una soddisfazione sufficiente a far dimenticare, diciamo così, le sofferenze patite.
1.3 – Dove collochiamo il danno biologico?
Dopo aver visto in cosa consistano esattamente un danno patrimoniale e uno non patrimoniale, siamo in grado di collocare da una parte o dall’altra il danno biologico o il danno alla salute? Entrambi sono danni la cui entità è resa misurabile dal sistema dei punti di invalidità, in modo oggettivo e tale da renderli suscettibili di soggiacere all’onere della prova. Tuttavia entrambi appartengono alla categoria dei pregiudizi che colpiscono dei diritti costituzionalmente garantiti, come recitato esplicitamente dall’art. 32 della Costituzione della Repubblica. Come tali sono valori non patrimoniali per definizione. Da queste considerazioni è nata la corrente di pensiero che sostiene l’esistenza di una terza categoria al di fuori della dicotomia PATRIMONIALE / NON-PATRIMONIALE.
Per avere una visione più globale del rapporto fra danno patrimoniale e le altre specie di danno derivanti dalla lesione personale, vediamo ora come vengono indennizzati i danni alla persona nei quattro casi di:
- invalidità permanente,
- inabilità temporanea,
- lesione superficiale che non comporta l’assenza dall’attività lavorativa e
- lesione grave che determini il decesso della persona colpita.
Il danno fisico o alla mobilità non pregiudica un interesse economico e questa è la ragione di chi li considera danni non patrimoniali (la maggioranza degli esperti e della giurisprudenza). Il fatto che, malgrado l’interesse colpito non sia di natura economica, il danno economico che ne consegue sia esattamente commisurato al danno fisico rappresenta la ragione di quei pochi che abbiano tentato di scoprire una recondita natura patrimoniale del danno fisico. Non a caso per il danno fisico, detto dai più danno biologico, la quantificazione non è discrezionale da parte del giudice, ma il risultato di un conteggio preciso sulla base dei punti di invalidità o le giornate di lavoro perdute, moltiplicati rispettivamente per il valore riconosciuto al punto di invalidità permanente e alla giornata-lavoro.
1.3.1 – Indennizzo del danno patrimoniale – 1 il caso di lesioni che producano Invalidità Permanente
In ossequio alle caratteristiche standard di questa categoria di danno, la perdita di reddito da lavoro dovrebbe essere oggetto della rifusione da parte di chi abbia provocato il danno. Come potrebbe essere risarcita questa perdita? Per rispondere a questa domanda dobbiamo poter dire per quanti anni ancora avrebbe lavorato se non avesse subito la lesione personale. Ma ci sono molti altri quesiti destinati ad avere come risposta un’alzata di spalle. Dovremmo infatti essere in grado di sapere:
- Quale sarà l’età pensionabile quando la persona lesa l’avrà raggiunta
- Fino a che età la persona sarebbe sopravvissuta
- Se avesse esercitato quella stessa attività fino alla pensione o se avesse cambiato
- Se e quale percorso di carriera avrebbe seguito q con quale sviluppo della retribuzione
- Se, per quante volte e per che durata di tempo si fosse in futuro trovata in disoccupazione.
Basta tentare di dare una risposta ai cinque quesiti di cui sopra, per intuire l’impossibilità di quantificare il danno economico di quella persona o di chiunque altro, che fosse colpito da lesione personale.
È chiaro che si debba ricorrere ad una presunzione, per poter fissare un punto di partenza per la definizione del danno, anche a costo di parificare alla realtà una semplice supposizione.
Vediamo allora come si procede nella realtà per quantificare il danno patrimoniale da lesione personale.
Rifacendosi al metodo di calcolo del danno patrimoniale da lesione personale riportato dal Regio Decreto del 9 ottobre 1922, N° 1403, si dovrebbero quantificare due componenti:
• la prima componente, detta danno attuale è proporzionale alla retribuzione annua lorda e la si moltiplica per la percentuale di invalidità permanente calcolata dal medico con funzioni di CTU, nominato dal giudice e si sottopone la somma risultante a dei fattori correttivi che tengono conto dell’età della persona e della sua anzianità di lavoro, più precisamente, si tiene conto dello scarto fra residua vita lavorativa e residua sopravvivenza attesa
• le seconda componente, detta danno futuro è invece basata su un algoritmo di attualizzazione della rendita futura prevista in base alla durata residua della anzianità di lavoro prima del pensionamento ed alla vita residua attesa in base ai dati statistici di sopravvivenza.
Il problema stava nel fatto che le tabelle usate del Regio Decreto 1403/1922 erano quelle dell’attesa di vita per individui dei due sessi rilevata nel 1911, mentre l’attualizzazione della rendita futura era fondata sul tasso di incremento ISTAT del costo della vita rapportato all’epoca di Giovanni Giolitti. Fatte le dovute correzioni per tenere conto che le cose in un secolo sono cambiate notevolmente, il metodo di base è rimasto immutato. Si osserva che il medesimo RD 1403/1922 forniva un metodo alternativo per il calcolo del danno patrimoniale secondo un criterio di indennizzo equitativo, che il giudice doveva stimare, senza però cadere nell’equivoco di scambiare la discrezionalità dell’indennizzo equitativo con il mero arbitrio e rimanendo nelle condizioni di poter giustificare con delle motivazioni plausibili la quantificazione decisa. Ricordiamo che il carattere convenzionale/ forfetario della rifusione del danno è il principale elemento che contraddistingue il danno non patrimoniale, in quanto esso, proprio perché, non avendo, per sua natura, una rilevanza economica, richiede di stabilire una somma equa, atta a tacitare le pretese del danneggiato (o parte lesa).
Il metodo per calcolare il danno patrimoniale da lesione personale è lo stesso adottato dalla polizza infortuni, per il calcolo del danno da invalidità permanente e che quello che si tenta di calcolare non è già la perdita di reddito, ma la perdita della capacità potenziale di produrlo. Osserviamo inoltre che la perdita della capacità di produrre reddito:
1) È un dato che non dipende dal fatto che la persona colpita fosse occupata o disoccupata al momento del sinistro.
2) È un elemento che dipende in modo diretto e indiscusso dal pregiudizio all’integrità fisica della persona.
3) È un elemento cui può essere assegnato un valore diverso, solo in funzione dell’età e di quanta parte della vita lavorativa (18-65 anni), al momento del sinistro, mancasse al compimento dell’età pensionabile.
In merito al punto 1) è doveroso precisare che per disoccupato si intende una persona che ha lavorato in passato, che non si esclude possa farlo ancora in futuro, ma che, al momento del sinistro, si trovava senza lavoro. Non possiamo applicare lo stesso ragionamento ad una persona che non ha mai esercitato una attività lavorativa stabile, o che viva di espedienti. In merito al punto 2) si osserva che il criterio di valutazione del danno patrimoniale è del tutto analogo a quello utilizzato per il danno biologico, ma non è un caso, visto che il danno biologico è la causa diretta del danno patrimoniale e non, come si possa essere indotti a pensare, una sua ripercussione. In merito al punto 3) va precisato che la dipendenza della valutazione dal posizionamento temporale rispetto alla durata della vita lavorativa è un elemento che già è tenuto in conto, attraverso i correttivi cui abbiamo accennato poco sopra.
Per concludere, abbiamo visto che, in presenza di una lesione che produca postumi invalidanti,
a) il danno definito patrimoniale viene di fatto risarcito con un criterio che si sottrae al principio indennitario, come accade per il danno non patrimoniale. A differenza di questo, vi è solo l’unità di misura fissata nel punto percentuale di invalidità permanente, rispetto ad una valutazione in toto discrezionale
b) il danno biologico è, come il danno patrimoniale, calcolato in base alla percentuale di invalidità permanente
c) il danno biologico, oggettivamente confondibile con il danno alla salute, è un pregiudizio ad un diritto costituzionalmente garantito, quindi, per definizione, un danno non patrimoniale.
Per quanto possa sembrare paradossale, la conclusione logica di quanto riepilogato nei tre punti di cui sopra è che ogni danno derivante da lesione personale ha titolo per essere catalogato integralmente come danno non patrimoniale, compreso quello che è definito patrimoniale. Questa conclusione, di per sé clamorosa, non va contro le sentenze delle Corti Superiori, né del parere di esperti giuristi, i quali si sono concentrati nel sostenere la non patrimonialità dei danni diversi dalla perdita di reddito, ma nessuno fra essi ha mai speso una parola per sostenere la patrimonialità di questi ultimi e se l’ha menzionata, lo ha fatto con lo scopo di rendere chiaro di cosa si stesse parlando, evocando un concetto dato per acquisito e che, proprio per questo non richiedeva di essere difeso.
1.3.2 – Indennizzo del danno patrimoniale – 2 il caso di inabilità temporanea
A differenza di quanto accade nel caso di invalidità permanente, Nel caso in cui la lesione personale producesse una astensione temporanea dall’attività lavorativa, intervengono due elementi che modificano radicalmente lo scenario:
1) il danno patrimoniale risulta calcolabile con esattezza, a meno di fattori collaterali
2) il danno biologico perde molto della sua consistenza, essendo circoscritto nel periodo di inabilità
3) il danno alla salute segue di pari passo i destini del danno biologico
4) i danni morale ed esistenziale mantengono la loro totale indipendenza e soggettività
In tal caso, occorre fare una distinzione fondamentale tra il caso in cui la persona lesa sia:
• un lavoratore autonomo o un imprenditore
• un lavoratore dipendente.
Nel primo caso la perdita patrimoniale è evidente ed, entro certi limiti, dimostrabile. Talvolta potrebbe essere maggiore di quello che appare a prima vista, a causa degli effetti indotti della perdita definitiva di parte della clientela abituale, nel caso di interruzioni totali molto prolungate.
Nel secondo caso, invece, occorre tenere presente che: A) Vuoi per l’intervento di ammortizzatori sociali da parte dell’istituto di previdenza nazionale, B) vuoi perché talvolta, per accordi contrattuali, il datore di lavoro si accolla il pagamento della retribuzione per il periodo di assenza del dipendente, anche senza avere in cambio la prestazione di lavoro; accade che il lavoratore che abbia subito la lesione personale rimanga indenne, su un piano squisitamente patrimoniale, essendosi fatto carico di tale perdita l’Ente previdenziale, piuttosto che il datore di lavoro. In quest’ultimo caso, il datore di lavoro subisce quella che secondo il diritto aquiliano è definita lesione del credito.
I due casi sono fondamentalmente diversi. Nel caso dell’INAIL, il soggetto che si accolla la perdita patrimoniale, assume contestualmente, come si dice in gergo, tutte le azioni, le ragioni e i diritti sorgenti dal fatto illecito, nei confronti del convenuto, ed ha a pieno titolo, facoltà di agire in rivalsa, ai sensi dell’art. 1916 c.c., nei confronti del diretto responsabile o dell’assicuratore di quest’ultimo, a seconda delle circostanze. È importante osservare che in questo caso, nell’agire in surrogazione della parte lesa, l’INAIL (sarebbe esattamente la stessa cosa se la persona lesa avesse stipulato una polizza infortuni a titolo privato, e l’infortunio fosse occorso nell’ambito della vita privata), assume tutti i diritti della parte attrice, come se li rilevasse da un atto di successione. Ciò significa che l’INAIL, o l’assicuratore privato, nei confronti del responsabile del danno vanterebbe il credito in ragione di tutto quanto pagato alla persona lesa, restando immutata la responsabilità penale di chi risponda della lesione, nei confronti della parte lesa e il debito verso quest’ultima di tutto quanto il giudice lo avrà condannato a rifondere a titolo di equo indennizzo per ogni forma di danno non patrimoniale riconosciuta. Nel caso della lesione del credito a carico del datore di lavoro, non sorge alcun danno patrimoniale a carico della persona lesa, che continua a percepire la sua retribuzione anche durante il periodo di astensione dall’attività per infortunio o malattia. La lesione del credito rimane un danno proprio del datore di lavoro, il quale non esercitando alcun atto risarcitorio, non può agire in surrogazione di chicchessia, ma può chiedere rivalsa del danno patito nei confronti del terzo responsabile. È interessante osservare che in caso di infortunio sul lavoro, il datore di lavoro che si fosse fatto carico della lesione del credito, non potrebbe agire nei confronti di nessuno, essendo per presunzione egli stesso responsabile del danno patito dal dipendente. Egli potrà agire nei confronti del terzo responsabile, esclusivamente in caso di infortunio extra-professionale, sempre ammesso che il suo impegno a riconoscere la retribuzione nel periodo di assenza dal lavoro, sia contrattualmente valido anche per l’infortunio extra-professionale. Tutto ciò vale, tuttavia, solo per la parte economica del danno alla persona. Tutti i danni non patrimoniali patiti della persona lesa, mantengono nell’identità inalienabile di quest’ultima l’avente causa ai sensi dell’art. 185 c.p., potendosi esercitare l’azione di surrogazione da parte di un eventuale soggetto che abbia pagato una quota del danno non patrimoniale in prima istanza.
1.3.3 – Indennizzo del danno patrimoniale – 3 il caso di lesioni lievissime che non comportano assenza dal lavoro
Nel caso in cui la lesione non sia abbastanza grave da costringere la persona a sospendere la propria attività, rimane salvo il diritto della persona colpita a chiedere il risarcimento delle spese di cura e medicazione sostenute e questo ai sensi dell’art. 2043 c.c. L’indiscussa natura patrimoniale del danno così configurato, farebbe rientrare il caso in una vertenza civile a tutti gli effetti. In accordo con questa osservazione, possiamo affermare che in un caso di questo tipo, non sussiste più la lesione personale su un piano formale, mentre il carattere patrimoniale del danno è riferito a spese ingiuste delle quali il danneggiato richiede la rifusione, ma la cui attinenza con l’offesa di carattere fisico, se così può ancora essere definita, non ha più la rilevanza giuridica del classico caso di lesione personale. Diciamo che potrebbe approssimarsi al rapporto fra un danno materiale e la spesa per la sua riparazione. In presenza di un caso come quello descritto, è presumibile che non ricorrano le condizioni per riconoscere un danno morale o un danno esistenziale, né un danno biologico o un danno alla salute. Verrebbero così meno tutti i presupposti perché l’evento possa ancora essere definito una lesione personale.
Se volessimo ritrovare il nesso tradizionale tra la spesa e il danno da riparare, dovremmo ripristinare la qualifica di lesione personale a quel danno, cosa che si otterrebbe, assieme al ripristino della rilevanza penale del fatto, sporgendo querela nei confronti del convenuto. Ciò accadrebbe d’ufficio per una lesione con prognosi superiore a 20 giorni, mentre è una situazione da attivare manualmente in caso di prognosi inferiore a 20 giorni, allorchè la rilevanza penale del fatto è subordina alla querela sporta dalla persona lesa.
1.3.4 – Indennizzo del danno patrimoniale – 4 il caso di lesioni con conseguenze mortali
Questo caso può sfuggire all’analisi in quanto la morte è indicata, nel testo assicurativo, come un caso alternativo rispetto alla lesione personale, mentre invece è evidente che si tratta di una delle sue possibili conseguenze. È possibile distinguere fra danno patrimoniale e non patrimoniale in relazione all’evento morte? Vediamo in quali termini si è pronunciata la giurisprudenza rispetto all’evento morte. Le sezioni unite con la sentenza n. 26972/08 hanno affermato il principio di diritto, secondo cui, in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile, non come danno biologico, ma come danno morale, inteso come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita:
• il danno biologico ed il danno alla salute cessano di avere una propria rilevanza, qualora la persona lesa fosse deceduta dopo un tempo brevissimo dall’incidente. Se l’agonia si fa apprezzabile, è riconosciuto un danno biologico inteso come patimento dovuto a difficoltà nel muoversi e nella sofferenza fisica eventuale. Inoltre è riconosciuto un danno morale, inteso come danno da perdita della vita, ossia del bene più prezioso dell’uomo, laddove si possa dimostrare che nell’arco di tempo in cui la persona lesa fosse stata agonizzante, fosse in grado di rendersi conto di star andando incontro al proprio decesso, anche se la Cassazione si è pronunciata nel senso di non dare rilevanza a tal fine alla consapevolezza della vittima.
• il danno patrimoniale si identifica nella perdita della fonte di sostentamento della famiglia tuttavia, perché la seconda affermazione possa avere un senso compiuto, occorre che la persona colpita fosse il capo famiglia di una famiglia mono-reddito. Continuerebbe ad avere un senso, anche se meno rilevante, su un piano strettamente economico, nel caso della famiglia bi-reddito, nella quale l’altra persona che lo produce rimanga in vita. I danni patiti dalla vittima danno un diritto al risarcimento degli stessi, che risulta trasmissibile agli eredi. I famigliari potranno inoltre ottenere un ulteriore risarcimento per il danno proprio conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta (Cass. n. 6754/2011). Quest’ultimo potrebbe essere interpretato come il pretium doloris dei famigliari della vittima.
Come si pone il problema se la persona deceduta a seguito di una lesione personale fosse un figlio a carico?
• Certamente il pregiudizio alla possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta di chi resta in vita sarebbe altissimo
• Il danno patrimoniale presenterebbe qualche problema di identificazione, anche se vi è chi si è cimentato nel forfetizzarlo
• Il danno biologico ed il danno alla salute seguirebbero la stessa normativa di legge valida qualora la vittima fosse il capo famiglia.
2 – Il danno patrimoniale nella disputa giurisprudenziale
La giurisprudenza di tutti i livelli, pur attraverso un dibattito a distanza non sempre improntato ad una identità di vedute, si è trovata concorde nel definire danno patrimoniale, la perdita di reddito per assenza o abbandono dell’attività lavorativa a seguito di lesione personale. Sono stati espressi pareri di iniquità sul risarcimento del danno patrimoniale a chi ne fosse reso indenne dall’intervento degli ammortizzatori sociali, o in presenza di un contratto che facesse salvo il suo diritto a percepire la retribuzione anche in assenza per malattia. In tali casi si sosteneva che il risarcimento riconosciuto a titolo di danno patrimoniale generasse illecito arricchimento.
La giurisprudenza conta alcune sentenze, (ved. Tribunale di Genova nel 1974 e Tribunale di Pisa nel 1979) che hanno riconosciuto entrambe la non classificabilità del danno biologico come non patrimoniale, con la differenza che la sentenza genovese lo parcheggiava in una categoria contrassegnata dal neologismo di tertium genus, o danno extra-patrimoniale, riconoscendone la non classificabilità da alcuna delle due parti, mentre quella pisana si spingeva oltre, sostenendo la patirmonialità del danno biologico. La sentenza della Corte Costituzionale dell’11-18 luglio 1991, n. 356 è stata una pietra miliare nel costume assicurativo in materia di RC, ed in particolare di RCO, dando vita alla citazione del danno biologico, assurto a vera celebrità fra gli operatori del settore che si fregiavano della capacità di menzionarlo, a testimonianza di essere al passo con i tempi. In realtà era una sentenza pronunciata a fronte di un ricorso della azienda elettrica municipalizzata, responsabile di un infortunio patito da un dipendente, di cui omettiamo i dettagli, la quale contestò all’assicuratore il diritto di agire in rivalsa nei confronti di essa, per quanto atteneva il danno biologico, in quanto il dipendente che aveva sofferto un infortunio sul lavoro, non risultava coperto contro questo rischio dall’assicurazione sociale contro gli infortuni.
Va osservato che, nel rispetto del principio che prevede la rifusione del danno non patrimoniale tramite un indennizzo stabilito dal giudice in via equitativa, qualora si ponga il problema di riconoscere l’equivalente di un danno patrimoniale ad una persona disoccupata, la legge 26 febbraio 1977 n. 39 in cui si convertì, previa introduzione di alcune modifiche, il precedente D.L. 23 dicembre 1976, n. 857 adotta il parametro equitativo del triplo della pensione sociale. Va sottolineato che tutto ciò è stato pronunciato in merito ad infortuni occorsi in occasione di incidenti stradali.
Tuttavia i principi contenuti in queste sentenze possono trovare un’applicazione anche al di fuori dell’ambito della circolazione. In tempi assai più recenti, si è levata una voce autorevole, che pareva voler spazzare via con un colpo di spugna, le velleità di patrimonializzare il danno biologico, espresse dai Tribunali di Genova e di Pisa. Stiamo parlando della sentenza della Corte di Cassazione, a sezioni unite dell’11 novembre 2008 che, per la cronaca, fu articolata in quattro pronunciamenti con numerazione distinta. Dopo essersi distinta per il riconoscimento del danno biologico nel pregiudizio a quel diritto alla salute, del quale la Costituzione della Repubblica si fa garante, ai sensi del già menzionato articolo 32, la sentenza di cassazione a sezioni riunite del novembre 2008, ha d’autorità negato la legittimità di classificare differenti tipologie di danno non patrimoniale, stabilendo che tutte le cosiddette etichettature, fra le quali il danno esistenziale, che fu proprio quello che entrò nel mirino della predetta sentenza, dovessero essere abolite dal novero delle causali legittimamente riconosciute, in quanto non v’era motivo di differenziare fra loro le tipologie di danno non aventi carattere patrimoniale. L’elemento maggiormente degno di nota che emergeva da questa quintuplice sentenza era che nell’accorpamento raccomandato delle voci dapprima citate come distinte, nell’unica categoria di danno non patrimoniale, veniva inglobato anche il danno biologico, laddove si affermava, per sottolineare l’inutilità di denominare in modo distinto il danno esistenziale, che esso altro non è che una duplicazione del danno biologico e del danno morale.
3 – Il danno non patrimoniale e l’art. 2059 del codice civile
L’art. 2059 c.c., che afferma che:
Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge
Viene spontaneo domandarsi quali siano i danni che debbano essere risarciti ove non previsto dalla legge. Si potrebbe rispondere quelli che attengono la responsabilità contrattuale, ma sarebbe una supposizione priva di fondamento, dal momento che l’Art. 2059 fa parte del Titolo IX – Dei Fatti Illeciti e non del Titolo II – Dei Contratti in Generale e che il Codice Civile non fa riferimento a danni dei quali si debba rispondere ai sensi di un Contratto, bensì del rapporto fra le parti e delle modalità con le quali ciascuna delle Parti può trovare una equa compensazione ad una inadempienza dell’altra Parte. Esclusa quindi questa possibile risposta, il dilemma resta da risolvere. A tal fine, possiamo fare affidamento sull’interpretazione dei giuristi, che sono abbastanza concordi nell’interpretare questa sorta di oracolo nel senso che:
Il danno non patrimoniale obbliga chi ne fosse responsabile a risarcire chi l’abbia subito solo quando il fatto rilevi in sede penale (Cfr. art 185 c.p.)
In realtà questa interpretazione, seppure corretta, rappresenta una applicazione consequenziale alla vera interpretazione dell’art. 2059 c.c. e non aiuta a comprendere “quando il danno non patrimoniale non ha rilevanza penale” al fine di comprendere a fondo il senso di questa spiegazione. Dal momento che né il 2059 c.c., né la sua traduzione interpretativa fanno riferimento al danno alla persona, bisogna dedurre che la risarcibilità dei danni provocati a cose materiali, nonché dei danni pecuniari, non ha limitazioni, mentre il danno non patrimoniale alla persona deve essere risarcito solo se derivante da fatto penale, quindi sempre? Facendo un passo indietro, scopriamo che i casi previsti dalla legge sono quelli menzionati in modo specifico in leggi, decreti legge e decreti legislativi, nonché in articoli del codice penale e del codice civile. Ad esempio l’art. 185 c.p. dice espressamente che il reato obbliga chi la commesso a risarcire il danno provocato. Da qui l’interpretazione dei giuristi circa il fatto che il 2059 c.c., faccia riferimento ai fatti che rilevino penalmente. Se invece consultiamo l’art. 5 del codice civile, scopriamo che l’atto di disposizione del proprio corpo (quindi a maggior ragione di quello altrui) quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fi sica è contro la legge. Questo, al di là del 185 c.p., è un caso espressamente previsto dalla legge (art. 2059 c.c.), fa espresso riferimento alla lesione dell’integrità fi sica (danno biologico in sensi stretto), persino della stessa persona che commetta l’atto e menzionando un diritto costituzionalmente garantito colloca il pregiudizio nella categoria dei danni non patrimoniali, chiudendo così il cerchio sul misterioso testo dell’art. 2059 c.c.
Un’altra interpretazione sorge dalla domanda: quando rispetto ad una lesione personale, la responsabilità di un soggetto può rilevare esclusivamente in sede civile, anche in presenza di fatto di reato? Quando ci riferiamo a quelle che l’art. 185 del codice penale defi nisce le persone che ai sensi delle leggi civili devono rispondere del fatto di lui, quindi a chi del fatto risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c. – responsabilità dei padroni e dei committenti (per fatto del domestico o del commesso), in un linguaggio più attuale, tradotto nella responsabilità civile del committente. Questa è una interessante chiave di lettura che porterebbe a dedurre che la responsabilità del committente vale solo per il danno patrimoniale prodotto nella parte lesa, mentre il danno non patrimoniale, quindi il pregiudizio all’integrità fi sica, piuttosto che il danno morale, o pretium doloris, che dir si voglia, debba essere risarcito esclusivamente dalla persona che abbia commesso il fatto la cui responsabilità è esclusivamente penale. Alla luce di questi ragionamenti possiamo concludere che i casi disciplinati dall’art. 2059 c.c. attengono la responsabilità penale diretta dell’autore del fatto che abbia provocato la lesione personale ad un terzo e stabilisce che quella responsabilità non può essere solidale, come sarebbe, se vi fosse una responsabilità in solido di chi ai sensi delle leggi civili, risponde del fatto di lui. In altri termini, il disposto così criptico dell’art. 2059 c.c., comporta indirettamente che la responsabilità del committente, disciplinata dal 2049 c.c., è intesa operante solo per il danno patrimoniale cagionato alla persona colpita, volontariamente o non, dalla persona della quale il soggetto deve rispondere. Può infi ne avere rilevanza civile il danno patrimoniale cagionato da lesione personale, qualora la parte lesa si costituisse parte civile ove non si ritenesse soddisfatta del risarcimento derivante dalla condanna del reo ai sensi dell’art. 185 c.p.