di Marcello Bussi
Non appena le agenzie di stampa hanno battuto la notizia che per l’Alta Corte di giustizia di Londra è il Parlamento, non il governo, a dover approvare l’avvio delle procedure per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, la sterlina si è impennata, arrivando a sfiorare quota 1,25 dollari, ai massimi da un mese, mentre alla borsa di Londra le banche hanno fatto un balzo in avanti. I mercati, insomma, hanno reagito come se la sentenza dell’Alta Corte avesse affossato la Brexit.
In realtà le cose non stanno così, a meno di incredibili sorprese (un anno fa chi avrebbe detto che Donald Trump avrebbe avuto qualche chance di diventare presidente degli Stati Uniti?). Alla fine la sterlina non è riuscita a sfondare quota 1,25, assestandosi a 1,24425, in rialzo dell’1,1%, mentre la borsa di Londra ha chiuso in ribasso dello 0,8%.
Di certo il governo guidato da Theresa May non ha apprezzato la sentenza, tant’è vero che la impugnerà davanti alla Corte Suprema, che dovrebbe pronunciarsi a «inizio dicembre», il «7 o l’8», secondo un portavoce dell’esecutivo. I giudici hanno quindi rigettato le argomentazioni del governo che riteneva il voto non necessario, sottolineando che «il Parlamento è sovrano». È davvero difficile che in un Paese come il Regno Unito i deputati siano pronti a sconfessare una decisione espressa dal popolo al referendum del 23 giugno, dove il No all’Ue ha vinto con il 52% dei voti. «Non direi che non abbandoneremo l’Ue», conferma Stephanie Flanders di JPMorgan Asset Management.
La domanda chiave è se per attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che disciplina l’uscita dall’Ue, sarà necessaria «una semplice mozione parlamentare o una vera e propria legge», ha osservato Mujtaba Rahman. Nel secondo caso i tempi si allungherebbero e la May potrebbe essere tentata di indire elezioni anticipate per cercare di assicurare un’ampia maggioranza ai sostenitori della Brexit. Non bisogna infatti dimenticare che comunque, prima del referendum, gli attuali parlamentari erano in maggioranza favorevoli alla permanenza nell’Ue. Anche se il leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, si è affrettato a precisare che «rispetta» il risultato del referendum (ma si sa che la sua leadership è osteggiata all’interno del partito e l’ex premier Tony Blair, sostenitore dell’Ue, soffia sul fuoco).
Il governatore della Banca d’Inghilterra (BoE), Mark Carney, ha osservato che la sentenza dell’Alta Corte è un ennesimo «esempio della fase di incertezza che caratterizzerà» la Brexit, incombendo sull’economia. Proprio ieri la BoE ha deciso di mantenere invariati i tassi d’interesse allo 0,25%, mentre subito dopo il referendum aveva fatto intendere che li avrebbe abbassati per dare una spinta all’economia, che secondo la stessa BoE sarebbe stata affossata dalla Brexit. Così non è stato e ieri la BoE ha rivisto al rialzo le stime di crescita, portandole per quest’anno al 2,2% dal 2% e per il 2017 all’1,4% dallo 0,8%, mentre entro fine dell’anno prossimo l’inflazione dovrebbe salire al 2,7%, ben oltre l’obiettivo del 2%, a causa dell’indebolimento della sterlina.
I tassi di interesse nel Regno Unito potrebbero muoversi «in entrambe le direzioni», ha sottolineato la BoE, ridimensionando così le probabilità di ribassi del costo del denaro nel futuro prossimo, aggiungendo di aspettarsi che la decisione a favore dell’uscita dall’Ue avrà un peso inferiore sull’economia nel corso del prossimo anno rispetto a quanto creduto in passato. Secondo Tim Graf, responsabile Macro Strategy per l’Europa di State Street Global Markets, i tassi resteranno invariati «almeno fino a febbraio e alla prossima pubblicazione del rapporto trimestrale sull’inflazione».
Per tornare alla sentenza dell’Alta Corte, la May ha detto che conta comunque di riuscire ad attivare l’articolo 50 entro marzo dell’anno prossimo. Ma certamente il processo rischia di essere rallentato, aumentando le incertezze sui mercati. (riproduzione riservata)
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