di Andrea Di Biase
Si alzerà domani il velo sul nuovo piano strategico di Unicredit . Si tratta di un passaggio chiave per il futuro della banca di Piazza Gae Aulenti, da tempo al centro di voci (sempre smentite) sulla necessità di un robusto aumento di capitale per dare forza ai requisiti patrimoniali, sempre più stringenti, imposti dai regolatori alle banche sistemiche.
Ma anche per lo stesso top management, e in particolare per il ceo Federico Ghizzoni, cui i grandi soci e il mercato chiedono da tempo una maggiore redditività della banca. Le indiscrezioni sul piano circolate nelle scorse settimane, e rilanciate dalla stampa anche nel corso del fine settimana, hanno lasciato intravedere una forte azione di efficientamento che dovrebbe passare attraverso risparmi di costi per circa 1 miliardo, attraverso il taglio di 9-12 mila posti di lavoro, e cessioni di asset, necessarie a raccogliere le risorse necessarie ad evitare il temuto aumento. Sul fronte delle cessioni, finora si era parlato della possibilità di una dismissione delle attività retail austriache, per le quali sarebbero in corso colloqui con Bawag (controllata dal fondo Cerberus), ma, stando a quanto riportato ieri dal Financial Times, nell’elenco degli asset non core potrebbero figurare anche le partecipazioni detenute da Unicredit in Fineco e nella polacca Pekao.
Secondo il Wall Street Journal, invece, la banca potrebbe valutare la cessione del business italiano nel campo del leasing, a cui sarebbero interessati diversi operatori del settore. Ipotesi, specie la prima, che non sembrano trovare il favore del mercato e degli analisti. «Non condivideremmo l’eventuale cessione di Fineco o di Bank Pekao dal punto di vista né strategico né finanziario, in quanto si tratta rispettivamente di un business e di un mercato che hanno tassi di crescita superiori alla media di gruppo, con assorbimenti di capitale relativamente contenuti; l’appeal di Unicredit come investimento risulterebbe quindi ulteriormente ridimensionato nonostante il miglioramento del Cet 1», hanno sottolineato gli analisti di Equita in una nota. Disfarsi di asset che producono reddito in prospettiva per fare cassa nell’immediato rischierebbe infatti di essere controproducente, considerato che l’attività bancaria tradizionale nei mercati core (Italia, Austria e Germania), specie nel segmento retail e small business, non offre, almeno al momento, grandi prospettive di ritorno, vista anche l’attuale struttura dei tassi di interesse, e che alcune economie dell’Est Europa stanno vivendo momenti turbolenti. Ma è evidente che qualcosa dovrà essere fatto non solo per recuperare efficienza grazie al taglio dei costi, ma anche attraverso il lancio di nuove iniziative orientate a potenziare la crescita e lo sviluppo, delle commissioni e dei crediti.
Domani, oltre all’aggiornamento del piano strategico, Unicredit presenterà anche i conti del terzo trimestre. Il consensus composto dalle stime di 21 broker vede un risultato netto di gestione di poco superiore al miliardo su un margine di intermediazione di circa 5,4 miliardi. L’utile netto del periodo luglio-settembre è stimato intorno a 460 milioni. Ieri intanto Pioneer Investments ha reso noto l’ammontare della raccolta netta globale per i nove mesi del 2015 pari a 13,8 miliardi di euro. Nel terzo trimestre la raccolta netta globale è stata pari a 3,1 miliardi, «un dato che conferma il posizionamento della società tra i principali operatori nell’industria dell’asset management». Il patrimonio gestito a fine settembre era pari a 217 miliardi, con un incremento dell’11% rispetto a un anno prima. (riproduzione riservata)