di Anna Messia
Il ministero dell’Economia aveva ribadito in più occasioni che nessuno dei 222 investitori istituzionali che avevano aderito all’offerta di azioni di Poste Italiane avrebbe avuto più del 2% del capitale. Ma qualcuno in verità quella soglia l’ha già superata, come emerso dalle rilevazioni della Consob comunicate ieri e riferite al 27 ottobre scorso, primo giorno di negoziazione dei titoli a Piazza Affari.
Si tratta del Kuwait Investment Office (Kio), che, in qualità di agente del governo dello Stato del Kuwait, detiene il 2,058% delle azioni del gruppo guidato da Francesco Caio. È dunque il secondo azionista dopo il Tesoro (65,3%). Un legame, quello tra l’Italia e il Kuwait, che si fa sempre più stretto. Nel 2014 il Kuwait Investment Authority (Kia) ha puntato 500 milioni di euro sull’Italia. Il fondo sovrano del Kuwait, uno dei primi al mondo con un patrimonio di 410 miliardi di dollari, ha siglato un accordo con il Fondo Strategico Italiano (Cdp e Banca d’Italia) per la costituzione di una newco che è stata capitalizzata per il 20% da Kia e per il restante 80% da Fsi, con l’obiettivo di finanziare, rilanciare e aiutare le imprese italiane. E sempre il Kia era stato tra i soggetti interessati a rilevare una quota di minoranza di Cdp Reti, finita poi ai cinesi di State Grid. Questa volta l’investimento in Poste non è stato realizzato dal Kia ma dal suo braccio finanziario londinese, il Kio, che finora non ha avuto grandi soddisfazioni.
Dalla quotazione (a 6,75 euro) Poste ha perso poco meno del 3% (chiudendo ieri a 6,55 euro, -0,3%). Ma «noi abbiamo il passo del montanaro», aveva detto Caio il giorno del debutto riferendosi alle performance del titolo. E il Kuwait è di certo un investitore di lungo termine. (riproduzione riservata)