«Molte scelte di politica economica in Italia finiscono per intaccare i diritti acquisiti, gli esodati ne sono un esempio lampante». Certo non si può dire che il presidente dell’Inps, Tito Boeri, usi molti giri di parole per esprimere un concetto. Nel suo intervento al Forum organizzato, ieri, a Roma dalla Cassa di previdenza dei ragionieri, dal titolo «Equilibrio dei sistemi pensionistici ed equità fra le generazioni dopo la sentenza n. 18136 della suprema Corte di Cassazione», ne ha dato l’ennesima dimostrazione. «Nel nostro Paese», ha infatti aggiunto l’economista, «i paladini dei diritti acquisiti sono i sindacati, ma quando propongono di fare una tassa patrimoniale, stanno toccando un diritto acquisto.
Ecco perché dico: calma». Il fondatore della Voce.info ha voluto anche lanciare una frecciata ai media, rei di aver alimentato disinformazione sui conti dell’Ente. «I pensionati non devono preoccuparsi. Le pensioni, ma quasi tutti i servizi sono erogati a fronte di leggi dello Stato. Se l’Inps dovesse fallire, c’è comunque lo Stato, ma l’Inps non fallirà. L’unica preoccupazione», ha proseguito, «è se lo Stato italiano dovesse fallire, cosa che non mi sembra all’ordine del giorno, fino a quando resteremo in Europa». Boeri ha anche fornito qualche dato molto interessante: «La macchina Inps costa circa 4 miliardi, di cui la metà per il personale.
Se compariamo i costi a quelli di altri enti previdenziali europei, ci facciamo un’ottima figura». L’economista, finito sotto i riflettori negli ultimi giorni per alcune dichiarazioni che hanno sollevato notevoli polveroni, per spegnere qualche polemica ha corretto il tiro su un tema caldissimo come il reddito di cittadinanza che, ha specificato, «è diverso dal reddito minimo garantito, perché il reddito di cittadinanza potrebbe riceverlo anche Berlusconi. Comunque, non è questo il senso della proposta del Movimento 5 Stelle». Boeri comunque boccia la proposta pentastellata, perché «avrebbe costi troppo elevati, attorno ai 30 miliardi secondo le nostre valutazioni». Il Forum è stata anche l’occasione per porre l’accento su temi di grande impatto sociale. Come testimonia l’intervento del presidente della Cassa nazionale di previdenza dei Ragionieri, Luigi Pagliuca: «La sentenza delle Sezioni Unite ha dato un importante segnale in merito all’equità generazionale: crediamo che questa possa rappresentare un punto di partenza significativo per interventi che coinvolgano il quadro pensionistico generale del nostro Paese». Il numero uno della Cnpr ha poi aggiunto che «in un contesto di scarse risorse economiche, infatti, era impensabile continuare a sostenere che solo i giovani dovessero sopportarne il peso, garantendo le pensioni di chi è stato più fortunato di loro». C’è poi l’aspetto della «sostenibilità e i diritti acquisiti» su cui Pagliuca punta l’indice: «la Consulta, accogliendo le argomentazioni della Cassa ragionieri, con riferimento ai trattamenti pensionistici liquidati successivamente al 1° gennaio 2007, ha confermato che il cosiddetto principio del pro rata deve essere ”rigorosamente rispettato” dagli enti previdenziali privatizzati per tutti i trattamenti pensionistici liquidati soltanto fino al 31 dicembre 2006, mentre», ha detto ancora, «deve essere semplicemente ”tenuto presente” per i trattamenti liquidati dal 1° gennaio 2007». Per il presidente della Commissione previdenza della Cnpr, Paolo Longoni, «le sentenze della Cassazione hanno posto fine alla lunga questione sul trattamento pensionistico ante e post 2007, segnando una linea di confine fra pensionati privilegiati da diritti acquisiti e pensionati che devono partecipare all’equità fra generazioni». Il punto semmai è che resta aperta la questione «della disparità fra la promessa previdenziale fatta a generazioni che hanno accumulato pochissimo risparmio contributivo e ottengono pensioni generose, e generazioni successive», ha concluso Longoni, «che ottengono prestazioni commisurate soltanto a quanto hanno accantonato, accollandosi anche il debito nei confronti delle generazioni precedenti».