Coadiuva le famiglie nella supervisione di tutte le attività seguite dai diversi consulenti che le assistono
Il private banking è un’industria a più teste. Accanto alle grandi banche commerciali italiane, ai gruppi esteri, alle banche specializzate indipendenti, alle boutique finanziarie e alle reti di promotori finanziari ci sono i family office dove le prime tre strutture, Tosetti Value Sim (consulenza pura), Global Wealth Management (consulenza e gestione), Unione Fiduciaria (che fa amministrazione fiduciaria di beni) gestiscono il 35,9% del patrimonio della fascia Uhnwi in Italia. L’attività di family office pura (il settore è difficilmente classificabile dato che sotto allo stesso cappello coesistono realtà molto diverse tra loro tanto che il termine finisce per essere molto abusato) è svolta in chiave di assoluta personalizzazione, generando i propri ricavi esclusivamente da fee applicate al patrimonio dei clienti. Come può l’attività di family office essere d’aiuto al private? «Collaborando per il raggiungimento dell’obiettivo comune: proteggere il patrimonio del cliente e farne crescere il valore», afferma Riccardo Foa, partner di Tosetti Value Sim, multi family office basato a Torino che a oggi assiste 54 famiglie, 10 aziende e 8 istituzioni per un patrimonio mobiliare di circa 4 mld di euro con una struttura di 25 persone. Precisa: «l’attività del family office è importante per le famiglie che, in questo modo, hanno una supervisione su tutte le loro relazioni coi vari private banker e, al contempo, è utile e di supporto al settore del private banking nella misura in cui aiuta la fidelizzazione del cliente, in alcuni casi attraverso linee di gestione ad hoc, gestite dal private banking con l’advisor del family office». Conclude Foa: «Grazie all’aiuto del family office, il private banker può ampliare le analisi sull’intero patrimonio della famiglia per asset detenuti anche presso banche terze e collaborare per intraprendere percorsi formativi utili nelle funzioni di passaggio generazionale o supervisione patrimoniale».
In Italia il settore conta su masse in gestione pari a 56 miliardi di euro e, secondo l’indagine di Magstat consulting, in Italia si contano 391 family officer che offrono consulenza a più di 13 mila clienti. Il settore comunque è difficile da inquadrare e molto poco omogeneo. A livello globale, secondo quanto emerso dal Global Family Office Report 2015 (stilato da Campden Wealth e Ubs), i fo hanno aumentato la propensione al rischio e hanno scelto di ridurre i bond in portafoglio, in favore di azioni e investimenti in fondi. Secondo il report, il fo medio ha un costo di circa 8 milioni di dollari l’anno, di cui il cui 20% è destinato al pagamento di commissioni per le performance di un manager esterno e un ulteriore 20% per servizi fiscali e legali. È poi emerso che lo stipendio medio del ceo del fo è di 333mila dollari; il 22% del portafoglio di un fo medio è in private equity; seguono strategie di hedge fund ma sono coinvolti di più su long/short equities; quelli impegnati nella filantropia investono circa il 2,5% degli aum. Ma un terzo non ha procedure di gestione dei rischi o controlli sulla reputazione della famiglia.