Con sentenza n. 17024 del 20 agosto 2015 la Corte di Cassazione, III sezione civile, ha riconosciuto il carattere vessatorio di una serie di previsioni contrattuali presenti in una polizza di assicurazione sulla vita, aventi ad oggetto gli oneri posti in capo al beneficiario per ottenere la liquidazione del capitale in caso di morte dell’assicurato.
In particolare, la sentenza ha considerato vessatorie tipiche, e quindi nulle, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lettera q, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, le seguenti clausole in quanto subordinano il pagamento dell’indennizzo ad adempimenti eccessivamente onerosi da parte del beneficiario:
a) sottoscrivere una domanda su apposito modulo predisposto dall’assicuratore, e per di più farlo presso l’agenzia di competenza;
b) produrre una relazione medica sulle cause della morte, scritta da un medico su un modulo predisposto dall’assicuratore;
c) produrre una dichiarazione del medico autore della relazione di cui sopra, nella quale questi attesti di avere “personalmente curato le risposte”;
d) produrre, a semplice richiesta dell’assicuratore, le cartelle cliniche relative ai ricoveri subiti dall’assicurato;
e) produrre un atto notorio “riguardante lo stato successorio” dell’assicurato deceduto;
f) produrre l’originale della polizza.
La Corte ha ritenuto la vessatorietà delle clausole in quanto:
a) contrasta con il principio di libertà delle forme nella materia delle obbligazioni la previsione per cui il beneficiario deve formulare domanda di indennizzo su un modulo predisposto dall’assicuratore e con quello di libertà personale e di movimento del beneficiario il doversi recare presso l’agenzia di competenza;
b) la richiesta di produrre una relazione medica sulla morte dell’assicurato pone un rilevante onere economico a carico del beneficiario e, ancor più grave, gli trasferisce l’onere di documentare le cause del sinistro, onere che per legge non ha. La Corte ricorda che nelle assicurazioni sulla vita il beneficiario ha il solo onere di provare l’avverarsi del rischio e, quindi, la morte della persona sulla cui vita è stata stipulata l’assicurazione;
c) la possibilità, a semplice richiesta, che il beneficiario debba fornire le cartelle cliniche relative ai ricoveri della persona deceduta non è soggetta a limiti temporali, è di “sconfinata latitudine” e pone a carico del beneficiario le spese di estrazione delle relative copie, nonché l’onere di contrastare il possibile rifiuto delle strutture sanitarie giustificato dalla tutela della riservatezza;
d) la necessità di produrre un atto notorio riguardante lo “stato successorio” del deceduto è inutile dal momento che il beneficiario acquista il diritto all’indennizzo jure proprio e non a titolo ereditario; e) il dover produrre l’originale della polizza è previsione inutilmente gravosa dal momento che di essa l’assicuratore è già necessariamente in possesso (art. 1888 c.c.).
L’IVASS richiama, in una lettera al mercato, l’attenzione delle imprese sull’importanza di adottare le idonee iniziative volte a recepire le indicazioni della Corte nella redazione delle clausole dei nuovi contratti di assicurazione sulla vita e nella gestione delle richieste di indennizzo relative a contratti già stipulati che dovessero contenere clausole analoghe a quelle oggetto di censura.