di Anna Messia
Compagnie assicurative che decidono di abbandonare il mercato italiano delle polizze per gli ospedali e chirurghi che vanno in sala operatoria con il terrore di commettere un errore e di dover pagare di tasca propria il danno, mettendo fine alla carriera. Nel mercato assicurativo della sanità italiana c’è decisamente qualcosa che non funziona, come emerge dall’ultimo sondaggio realizzato da Cineas, il consorzio universitario per l’ingegneria delle assicurazioni, presieduto da Adolfo Bertani e Acoi, l’associazione chirurghi ospedalieri italiani. Per quasi nove medici su 10 (l’86%) dei 729 chirurghi intervistati il rischio di subire una denuncia è una preccupazione molto (41%) o abbastanza elevata (45%) e l’83% teme di perdere il proprio patrimonio personale o familiare a seguito di una condanna civile. Non solo. Nell’ultimo anno il 91% dei chirurghi contattati dice di avere optato per esami strumentali superiori a quelli che riteneva sufficienti, per non correre il rischio di un esposto o di una denuncia del paziente. Come dire, la vita del chirurgo sembra diventata un inferno e c’è addirittura «chi non dorme di notte per il terrore di sbagliare un’operazione il giorno dopo», raccolta Bertani. «Una situazione che desta allarme», aggiunge, «considerando che i medici, più di altri professionisti, dovrebbero essere sereni per svolgere al meglio la loro attività e c’è urgente bisogno di migliorare i sistemi di risk management degli ospedali».
Anche per le assicurazioni che operano in questo ramo la situazione non è rosea. Nel settore malpractice il bilancio tecnico continua a registrare un evidente squilibrio, con il rapporto tra sinistri e premi che supera il 140%. I risarcimento pagati dalle assicurazioni superano ampiamente i premi incassati. Una situazione che ha portato praticamente tutte le compagnie italiane ad abbandonare questo mercato, lasciandolo nelle mani di pochi operatori internazionali specializzati. Anche questi non senza problemi. L’ultimo caso esploso in Italia è quello dell’americana Am Trust, che detiene circa il 60% delle polizze di protezione della responsabilità civile medica degli ospedali italiani ed è finita sotto i riflettori dopo la rottura con l’ex agente generale Trust risk group, con l’avvio di un contenzioso legale. Secondo le voci circolate in questi giorni la compagnia avrebbe richieste di risarcimenti per oltre 1 miliardo di euro, ma da Am Trust, dicono di puntare ancora forte sull’Italia, e (senza fare però chiarezza sul numero dei sinistri) aggiungono di avere riserve e capitale a sufficienza per far fronte agli impegni.
Oltre al fronte caldo degli ospedali c’è poi da risistemare le polizze per l’ Rc professionale dei medici liberi professionisti, disciplinate dal decreto Balduzzi. L’Antistrust, con la consueta predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, aveva chiesto di cambiare pelle ai prodotti. L’invito era di passare al sistema del «Loss occurance», dove la compagnia s’impegna per tutti i sinistri generati nell’anno di assicurazione, indipendentemente da quando verranno denunciati, anche se anni dopo. «Un caso tutt’altro che raro nella sanità, dove si può scoprire un danno anche a distanza di anni», dice Roberto Manzato, direttore centrale di Ania. «Ma per le compagnie non è facile stimare il costo che un sinistro potrà avere tra cinque o dieci anni, perché la giurisprudenza può cambiare radicalmente negli anni». Per questo le assicurazioni hanno preferito, in questi anni, adottare il sistema claim made, in cui la compagnia rimborsa i sinistri denunciati nell’anno di copertura assicurativa, indipendentemente da quando sono stati generati. Anche il Dpr, in attesa di pubblicazione in queste settimane, che dovrà dare attuazione al decreto Balduzzi, sembra orientato alla scelta del metodo «claim made», prevedendo però una retroattività minima ai sinistri provocati nel 2011 e un’estensione delle coperture di altri 10 anni per i medici andati in pensione. (riproduzione riservata)