Giurisprudenza

Autore: Samuele Marinello
ASSINEWS 258 – novembre 2014

Il datore di lavoro non può delegare, neanche nell’àmbito d’imprese di grandi dimensioni, l’attività di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una sorta di consulente del datore di lavoro e i risultati dei suoi studi ed elaborazioni sono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo è chiamato a rispondere delle eventuali negligenze del primo.
Infatti il ricorso all’ausilio di professionisti specializzati non implica alcuna possibilità di scaricare sugli stessi ogni responsabilità di cui è espressamente onerato il datore di lavoro ma significa solo che questi può avvalersi, facendole proprie, delle segnalazioni, raccomandazioni, consigli precauzionali e prevenzionali espressi dagli specialisti medesimi in relazione alla specifica attività lavorativa per la quale è stato sollecitato il loro intervento.
È vero che nelle imprese di grandi dimensioni si pone la delicata questione, attinente all’individuazione del soggetto che assume su di sé, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede, logicamente e giuridicamente, quella della (eventuale) delega di funzioni.
In imprese di tal genere, infatti, non può individuarsi questo soggetto, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell’effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità all’interno dell’apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l’organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale.
In altri termini, nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire senz’altro all’organo di vertice la responsabilità per l’inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare l’apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all’interno di questo, al responsabile di settore. Diversamente opinando, del resto, si finirebbe con l’addebitare all’organo di vertice quasi una sorta di responsabilità oggettiva rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura ed alla conseguente responsabilità di altri.
È altrettanto vero che il problema interpretativo ricorrente è sempre stato quello della individuazione delle condizioni di legittimità della delega: questo, per evitare una facile elusione dell’obbligo di garanzia gravante sul datore di lavoro, ma, nel contempo, per scongiurare il rischio, sopra evidenziato, di trasformare tale obbligo in una sorta di responsabilità oggettiva, correlata in via diretta ed immediata alla posizione soggettiva di datore di lavoro.
Sul punto, costituisce affermazione consolidata che il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica.
Ciò dovendolo desumere, anche a non voler considerare gli obblighi specifici in tal senso posti a carico dello stesso datore di lavoro dal decreto legislativo in commento, dalla norma di chiusura stabilita nell’art. 2087 c.c., che integra tuttora la legislazione speciale di prevenzione, imponendo al datore di lavoro di farsi, in quanto tale, garante dell’incolumità dei lavoratore. Il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all’art. 2087 c.c., è il garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (art. 40 c.p., comma 2). Altrettanto consolidato è il principio che la delega non può essere illimitata quanto all’oggetto delle attività trasferibili; pur a fronte di una delega corretta ed efficace, non potrebbe andare esente da responsabilità il datore di lavoro allorché le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza.
È da ritenere, quindi, senz’altro fermo l’obbligo per il datore di lavoro di intervenire allorché apprezzi che il rischio connesso allo svolgimento dell’attività lavorativa si riconnette a scelte di carattere generale di politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza. Tali principi hanno trovato conferma nel d.lgs. 81 del 2008, che prevede, infatti, gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, per l’importanza e, all’evidenza, per l’intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del datore di lavoro (v. art. 17); si tratta:
• dell’attività di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del documento previsto dal cit. Decreto legislativo, art. 28, contenente non solo l’analisi valutativa dei rischi, ma anche l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate;
• della designazione dei responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP)

Non può parlarsi di affidamento in tema di causalità, quando colui che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento.
Corte di Cassazione, sez. IV penale, sentenza del 17 settembre 2014 n. 38100