In una recente newsletter ANAPA fa un bilancio sulla diffusione dello strumento della “collaborazione fra intermediari” introdotto due anni fa a seguito del decreto legge n. 179 il c.d. “Decreto Crescita” (convertito poi nella Legge n. 221/2012).
Se l’intento del legislatore era di “aprire” il mercato assicurativo RCA, ad avviso dell’Associazione, non è la “collaborazione tra intermediari” che può ampliare la concorrenza e far diminuire le tariffe RCA,visto che incide soltanto “a valle” del sistema assicurativo, consentendo all’opposto “a monte” grandi operazioni di concentrazione societarie, senza considerare che gli agenti non hanno alcun potere di incidere, se non in via residuale attraverso la flessibilità commerciale, sul fattore premio.
I premi RCA sono diminuiti per altri fattori, più contingenti e più legati allo stato attuale dell’economia del nostro paese. Tanto più che per gli agenti tale decreto non ha rappresentato nessuna sostanziale novità, poiché già prima della norma, essi avevano la facoltà, con la duplice iscrizione nelle sez. A e E del RUI, di collaborare tra loro.
Riguardo all’effettivo business creato agli agenti, i dati che ci pervengono da alcune ricerche di mercato convergono tutte su risultati di nessun rilievo (Fonte: Innovation Team).
Infatti, se il 60% delle agenzie intervistate ha fatto uso recentemente delle collaborazioni, solo il 30% è stata realizzata con altri agenti.
Resta, pertanto, centrale il rapporto tra agente e broker, piuttosto che tra agente e agente.
In ogni caso l’impatto effettivo sul business agenziale è limitato, visto che il giro d’affari generato è minimo: circa € 4.000 provvigioni annue lorde, da spartirsi con il partner collaboratore per un portafoglio medio per agenzia di € 30.000 al quale vanno detratti gli oneri amministrativi che plausibilmente sono più elevati, giacché si opera su due differenti agenzie.
Inoltre, sempre secondo quanto riporta la newsletter Anapa, le collaborazioni riguardano principalmente due tipi di prodotti: quelli in cui c’è carenza di offerta della propria mandante (come per RC professionale e cauzioni) e nella RCA, dove gli agenti hanno reagito alla competizione offrendo al cliente polizze di altre compagnie, pur di conservarlo.
“Si è trattato prevalentemente di un atteggiamento “tattico” che già prima della norma esisteva in forma sommersae che, a parità di volumi, aumenta i livelli d’intermediazione e riduce la redditività del business.
La vera novità, invece, sono gli effetti distorsivi generati dalla norma che hanno portato alcune compagnie a utilizzarla “pro domo” loro, con lo scopo di piazzare prodotti al di fuori (e spesso contro gli interessi) della propria rete agenziale (collaborazioni con banche o comparatori)”, sottolinea Anapa.
A fronte della modesta diffusione dello strumento delle “collaborazioni” e del limitato e residuale impatto in termini di business economico, restano i rischi a carico degli agenti, conseguenti ai dubbi e alle perplessità sull’applicazione giuridica di quello che è un “mero principio” e che, al contrario, richiederebbe una più specifica regolamentazione.
Anapa fa riferimento al profilo dell’adeguatezza del prodotto, della formazione professionale e a quello della responsabilità solidale, nei confronti del consumatore e delle stesse imprese mandanti, per le quali non è ancora stato chiarito e capito a chi spetti: all’agente emittente o a quello proponente?
Nemmeno le c.d. “liberalizzazioni Bersani del 2007” sembrano aver portato molti miglioramenti, visto che oggi in Italia gli agenti plurimandatari, dopo oltre 7 anni, sono solo il 21%, dei quali solo una metà sono veri plurimandatari, gli altri sono quelli che hanno ottenuto un mandato specializzato per una tipologia di prodotto.
Inoltre, il rallentamento dello sviluppo del plurimandato, già evidente negli ultimi 2 anni, si conferma nel 2013 e addirittura si riduce il numero delle agenzie, che passano da 3038 a 2990. Diversi agenti, che dopo il 2007 avevano preso altri mandati, infatti, hanno preferito ritornare a operare in esclusiva di marchio.
Infine c’è in ballo la revisione della Direttiva sull’intermediazione assicurativa (IMD2), secondo la quale il cd. “consulente indipendente” (fattispecie nella quale rientra senz’altro il broker e, secondo alcune correnti di pensiero sindacale, anche l’agente plurimandatario) non potrà più farsi remunerare dalla compagnia o da parti terze, visto che si considera “libero” da alcun legame con la mandante (“divieto di inducement”), ma solamente dal cliente.
Pertanto la prospettiva futura che potrebbe delinearsi in Europa, e di conseguenza anche nei paesi membri, come per l’appunto l’Italia, non lascerebbe più spazio a mezze misure, tipo “collaborazioni A con A” o ai sedicenti agenti pseudo-plurimandatari, la cui sopravvivenza economica verrebbe messa in discussione dalle nuove norme europee.
Al contrario, si consoliderebbero sul mercato le attuali figure professionali tradizionali, da un lato l’agente in esclusiva con un marchio (c.d. “partner”), come storicamente predominano in Germania e Italia, con tutti i pro e contro che tale tipologia comporta, dall’altro il broker al quale corrisponde una maggiore autonomia imprenditoriale, correlata però a maggiori rischi e impegni economici.