L’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, poiché la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze tecniche del momento.
L’ampia ed estesa responsabilità datoriale delineata dall’art. 2087 c.c. non può quindi essere dilatata fino a comprendere ogni ipotesi di danno ai dipendenti, pur se in conseguenza di eventi incolpevoli, sostenendosi che, comunque, il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto; così ritenendo, infatti, si perverrebbe alla abnorme applicazione di un principio di responsabilità oggettiva ancorata al presupposto teorico che qualsiasi rischio possa essere evitato, pur se esorbitante da ogni umana prevedibilità e vanificante l’adozione delle misure più sofisticate e all’avanguardia secondo lo sviluppo tecnico attuale.
La responsabilità del datore di lavoro per la violazione dell’integrità fisio-psichica del lavoratore (vittima di rapine a mano armata) postula quindi l’inosservanza di specifici obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, così che essa va esclusa allorquando il lavoratore non abbia ritualmente e tempestivamente allegato l’omissione commessa dal datore di lavoro nel predisporre le misure di sicurezza necessarie a evitare il danno, non essendo sufficiente la generica deduzione della violazione di ogni ipotetica misura di prevenzione
La parte che subisce l’inadempimento non deve però dimostrare la colpa dell’altra parte – dato che ai sensi dell’art. 1218 c.c. è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile – ma è comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale e anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Nella specie, relativa alla pretesa del dipendente di un istituto di credito di ottenere il risarcimento dei danni permanenti alla salute derivati da una serie di rapine compiute presso l’agenzia ove egli aveva prestato attività di addetto allo sportello bancario e dal trasferimento disposto dall’istituto in altra sede “notoriamente” soggetta a rapine, la sentenza di merito aveva respinto la domanda, sul presupposto che il lavoratore si fosse limitato ad allegare l’esistenza e l’entità del danno e il nesso causale fra questo e i fatti dedotti, senza porre a fondamento della domanda né la negligenza della banca circa la mancata adozione di misure di sicurezza idonee a evitare le rapine, né l’illegittimità del trasferimento;la Suprema Corte, nel confermare la sentenza impugnata, ha affermato il principio su esteso.
Cassazione civile sez. lav., 11 aprile 2013 n. 8855