Quando si diceva che il conto per l’abolizione della seconda rata Imu l’avrebbero pagato le banche, nessuno pensava che sarebbe stato così salato. Per blindare il gettito necessario di 2,15 miliardi, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, è ricorso al meccanismo rodato dal suo predecessore Giulio Tremonti, che l’aveva battezzato Robin Hood Tax, ossia una stangata fiscale su un settore produttivo considerato più solido o più avvantaggiato degli altri.
Le tre misure insieme dovrebbero portare all’erario entro la fine dell’anno 2,15 miliardi, quanto basta a coprire il mancato gettito della seconda rata Imu sulle abitazioni principali, cancellata ieri per decreto dal Consiglio dei ministri. Ma la cifra serve anche a ridurre il peso dell’Imu agricola (che complessivamente vale 400 milioni), esentando dal pagamento della seconda rata i fabbricati rurali e (solo per gli imprenditori agricoli professionali) anche i terreni.
A questo punto mancavano ancora all’appello 500 milioni, quelli che servivano a rimborsare i comuni che durante il 2013, anche sapendo dell’intenzione del governo di abrogare l’Imu sulle abitazioni principali, avevano comunque aumentato l’aliquota oltre il livello standard, mettendo a bilancio il gettito conseguente. Il decreto approvato ieri stabilisce che metà dell’importo verrà ristorata dallo Stato; l’altra metà dei soldi dovranno chiederli a metà gennaio 2014 ai propri cittadini, utilizzando le scadenze già programmate per altri tributi.
Alla conferenza stampa seguita al consiglio dei ministri, Saccomanni ha sottolineato che il governo ha mantenuto la promessa di abolire l’Imu e riferendosi all’altro decreto approvato ieri, ha anche sbloccato la rivalutazione delle quote di Bankitalia, che ora, alla prossima assemblea straordinaria potrà portare il capitale fino a 7,5 miliardi, con un effetto benefico per le banche azioniste, che si troveranno un capitale di rischio rivalutato. Solo che le medesime banche si sono fatte due conti, verificando che i vantaggi del decreto Bankitalia non compensano il salasso sull’Ires, che va a pesare sul medesimo bilancio 2013, quello nel mirino degli stress test europei. A questo punto hanno deciso di scendere sul piede di guerra, non escludendo nemmeno il ricorso alla Corte di Giustizia europea.
Quanto al decreto, il governo ha attribuito alla Banca d’Italia il potere di portare il valore del suo capitale fino a 7.5 miliardi, il massimo della forchetta stabilita dal comitato dei tre super esperti. Sempre in riferimento al lavoro dei tre saggi, è stato stabilito che il dividendo annuale non potrà superare il 6% del capitale. Nell’azionariato potranno entrare oltre le banche aventi sede legale in Italia, anche le assicurazioni (sempre con sede in Italia), le fondazioni di origine bancaria, gli enti e gli istituti previdenziali e i fondi pensione. Ogni socio non potrà avere più del 5% del capitale, Unicredit e Intesa Sanpaolo, che superano quel limite per effetto delle acquisizioni e delle fusioni avvenute negli anni passati, dovranno cedere le azioni eccedenti. Fino al momento della vendita le quote superiori al 5% non avranno diritto di voto e i dividendi finiranno nelle riserve della Banca d’Italia. Lo stesso istituto centrale potrà acquistare provvisoriamente, e tenere per non più di due anni, quote del suo stesso capitale. (riproduzione riservata)