Walter Galbiati
Milano V ietare i salvataggi dei fondi di investimento. Sarebbe questa una delle opzioni allo studio dei regolatori dell’Unione Europea e degli Stati Uniti per evitare i contagi alle già martoriate banche, soprattutto quando sono le proprietarie dei fondi stessi. Un tema su cui si discute da tempo e che è tornato recentemente di attualità dopo alcune indiscrezioni pubblicate dal Financial Times. Li chiamano semplicemente sponsor dei fondi di investimento. In realtà sono concorrenti, oppure le stesse case madri, che nei momenti di difficoltà aprono i cordoni della borsa per salvare i gestori dei risparmi da possibili fallimenti. Un’eventualità che si è dimostrata tutt’altro che rara nel recente e turbolento periodo di crisi che il mercato sta attraversando. E che minaccia di rendere difficile la vita dei piccoli fondi, che in momenti di crisi senza avere alle spalle una grande banca possono finire fagocitati dalle big del settore. Non tutti i salvataggi sono saliti alle cronache dei giornali, ma un conteggio dell’agenzia di rating Moody’s ha provato a tirare le somme di questa attività, il cui merito sarebbe quello di aver dato stabilità all’universo dei fondi che da solo vale qualcosa come 4.100miliardi di dollari. Moody’s ha calcolato che durante la crisi finanziaria ben 62 fondi (36 negli Stati Uniti e 26 in Europa) sono stati salvati dai loro sponsor o dalle società che li controllano per un costo complessivo di 12,1 miliardi di dollari, con il caso limite di un salvataggio costato da solo 2,9 miliardi. Certo i fallimenti delle società che gestiscono i risparmi non sono una novità nel panorama mondiale della finanza, tanto che dal 1980 a metà del 2007 se ne sono succeduti almeno 146. I due più eclatanti sono da ascrivere alla società di gestione americana Reserve Primary, che con un patrimonio gestito di 62,5 miliardi di dollari ha incassato nel 2008 una perdita da 785 milioni per colpa del fallimento di Lehman Brothers e nel 1994 il Community Bankers Money, affossato da investimenti sbagliati nei temutissimi e complessi derivati. Mary Shapiro, presidente della Sec, la commissione che vigila sui mercati statunitensi, che ha lanciato una campagna per inasprire la normativa sui salvataggi, ha conteggiato, sebbene non vi siano riscontri oggettivi sulle cifre, che almeno 300 fondi hanno ricevuto aiuti dalle proprie controllanti dal 1989 a oggi. Il problema dei salvataggi è tutt’altro che secondario, perché oltre ad aver interessato le autorità statunitensi, è diventato oggetto di discussione anche nel Vecchio Continente. Se ne è fatto carico l’European Systemic Risk Board (Esrb), una agenzia dell’Unione europea, con sede a Francoforte, responsabile per la vigilanza macro-prudenziale del sistema finanziario dell’Unione, nata solo tre anni fa e presieduta dal numero uno della Banca centrale europea, Mario Draghi. In un paper dello scorso giugno, intitolato “Money Market Fund in Europe e Financial Stability”, l’Esrb avrebbe manifestato la sua contrarietà a questo tipo di salvataggi per almeno un paio di motivi. «Se una banca – si legge nel paper – è costretta a fornire una consistente liquidità per prevenire il fallimento di un fondo e fermare il panico intorno alla sorte di quel fondo, il rischio è che quello stesso panico si estenda ai clienti retail della banca stessa con un conseguente danno reputazionale ». Senza poi considerare che il capitale della banca «potrebbe non essere sufficiente con il disastroso risultato che dal fallimento del fondo si arrivi poi al fallimento della banca che ha salvato il fondo». E un ulteriore punto di discussione è la concentrazione che si verrebbe a creare nel settore. Secondo gli esperti dell’Unione europea, la possibilità di salvare un fondo, consentirebbe alle società meglio dotate di mezzi, che sono già le più grandi, di compiere acquisizioni approfittando delle difficoltà altrui, mettendo in moto nel mercato dell’industria del risparmio gestito una barriera d’accesso al mercato a quei fondi che non hanno alle spalle “sponsor” o “partner”, in grado di garantirne la sopravvivenza in caso di difficoltà. Un’analisi della Federal Reserve di Boston ha scoperto che molti sponsor hanno deciso di salvare i propri fondi, anche senza avere obblighi contrattuali, per proteggere la propria reputazione, evitare cause legali e contabilizzare perdite nei propri bilanci. Eppure, secondo la Fed di Boston, l’avrebbero fatto senza avere una visibilità completa sull’entità del possibile “buco”. Moody’s stima che l’abitudine a salvare i fondi costerà in futuro altri 5mila miliardi di dollari, se non vi saranno interventi da parte dei regolatori. Nei suoi lavori l’Esrb ha già individuato una serie di interventi possibili su cui far leva, come la quotazione dei Nav (il valore netto dei fondi), l’introduzione di rapporti tra il capitale e lo stesso Nav, nonché lo sviluppo di nuovi standard per la liquidità, la valutazione e le procedure che riguardano il portafoglio del fondo in tempi di stress finanziari. Se queste novità venissero introdotte, ci sarebbe una trasparenza maggiore e forse una precauzione in più dei fondi nell’effettuare i propri investimenti. Un’analisi della Federal Reserve di Boston ha scoperto che molti sponsor hanno deciso di salvare i propri fondi, anche senza avere obblighi contrattuali, per proteggere la propria reputazione, evitare cause legali e contabilizzare perdite Nei suoi lavori l’Esrb ha già individuato una serie di interventi possibili su cui far leva, come la quotazione dei Nav (il valore netto dei fondi) 1 2 Mario Draghi (1) (Bce e Esrb); Eric S. Rosengren (2) (Fed of Boston)