La Liguria è stata colpita da un’altra alluvione devastante dopo quella di due settimane fa circa. Ma ben presto l’argomento scivolerà anche questa volta nelle pagine interne dei giornali, come le piogge torrenziali precipitate a valle. I problemi dell’insufficiente tutela idrogeologica restano insoluti e anche le polemiche si spengono rapidamente, sommerse da acqua e fango. Stavolta non è stata neppure ripresa la questione dei rischi catastrofali e dell’opportunità di prevedere una qualche forma di assicurazione obbligatoria. Le compagnie che in passato si erano fatte avanti, chiedendo al governo di avviare un confronto sul tema, stavolta hanno ben altri problemi da affrontare, alle prese come sono con gli attivi precari per via del mercato finanziario in tempesta. Il fatto che lo Stato italiano abbia le finanze nelle condizioni ben note non ha consentito neppure una pallida replica dei consueti interventi d’emergenza da parte della Protezione Civile con fondi appositamente stanziati. C’è una sorta di arrendevolezza collettiva, che è la peggiore conclusione di questa ennesima, dolorosa vicenda. Anche perché stavolta non ci sono di mezzo le solite amministrazioni pubbliche meridionali, le costruzioni strampalate dei paesini mal governati di cui è facile dire tutto il male possibile, con l’atroce ironia che festeggia la distruzione del moderno orrido edilizio. Due settimane fa erano state colpite le Cinque Terre, una perla paesaggistica e turistica, ed erano andati distrutti valori immobiliari davvero cospicui. Stavolta la più colpita è stata Genova.
Se fossimo ancora negli anni 60, prima del boom edilizio, potremmo ripetere le solite ricette: governo attento del territorio da parte delle amministrazioni pubbliche e assicurazioni private contro i rischi catastrofali. Oggi, purtroppo, ci sono troppe costruzioni a rischio e quindi rischi troppo elevati: in alcuni casi per proteggere una singola abitazione si dovrebbe pagare un premio pari al suo valore. Un’assicurazione classica, anche se obbligatoria ed estesa a tutto il territorio nazionale, con cui da una parte si trasferisce il rischio e dall’altra si impiegano i premi sul mercato finanziario per fronteggiare i risarcimenti, nell’attesa che si verifichino gli eventi calamitosi, avrebbe poco senso. Diverso sarebbe se i premi venissero reimpiegati sul territorio per eliminare o ridurre drasticamente i rischi: serve una massa di manovra imponente, quella che finanzi i lavori sul territorio che le amministrazioni pubbliche non sono mai in grado di fare, quell’opera di manutenzione e di prevenzione che tutti considerano essenziale e soprattutto di delocalizzazione delle costruzioni realizzate in posizioni inaccettabili. I vantaggi sarebbero notevoli. In primo luogo, ci sarebbe una netta riduzione dei fattori attuali di rischio. In secondo luogo, le economie locali trarrebbero beneficio dal reimpiego dei premi per il miglioramento del territorio. Infine, si eliminerebbe il fenomeno di investimento dei premi su attivi finanziari a rischio. La questione, dal punto di vista delle assicurazioni, non è affatto nuova: le regole tecniche dettate nel caso del trasporto valori, come in quello dei trasporti del petrolio via mare, sono divenuti standard commerciali e industriali. È un settore nuovo, su cui vale la pena cimentarsi. Di sicuro, è meglio che aspettare con le mani in mano. (riproduzione riservata)