GIOVANNI PONS

La caccia grossa al risparmio degli italiani è partita e si intensificherà nel 2012. È una partita che vede le banche nella veste dei cacciatori e i clienti che hanno le loro attività depositate in banca nel ruolo di target da conquistare a tutti i costi. I primi segnali di questa battaglia per il funding si percepiscono già. Una serie di clienti sempre maggiore si lamenta con i propri consulenti ma anche con i giornali per le pressioni ricevute dal proprio funzionario di banca volte a fargli sottoscrivere nuovi prodotti finanziari quasi sempre con il marchio della banca di casa. Il sintomo, ovviamente, riflette un problema più grande e più difficile da spiegare. Ma ci proviamo.
Dopo il grande stress del 20082009 dovuto al fallimento di Lehman Brothers e un temporaneo ritorno a una quasi normalità nella seconda parte del 2009 e inizio 2010, dal 2011 si è ritornati a una fase di crescente rarefazione della liquidità sui mercati finanziari. Le crisi dei debiti sovrani europei e il conseguente allargamento degli spread sui titoli di Stato sta comportando una vistosa difficoltà per le banche a finanziarsi sul mercato dei capitali, e un evidente aumento del costo della raccolta.
Prendiamo il caso dell’Italia per capire meglio. L’allargamento dello spread tra Btp e Bund non è un problema soltanto per il bilancio pubblico che deve sopportare una maggiore spesa per interessi ma anche per il sistema bancario. Ogni banca ha un proprio rischio che è parametrato a quello del paese in cui opera. Per cui se l’Italia viene declassata anche i rating delle banche subiscono lo stesso trattamento. Banche più rischiose (il rischio è misurato dal Credit Default Swap, o Cds) significa automaticamente costi più alti per raccogliere denaro sul mercato. E’ così successo che da agosto in poi, con lo spread italiano passato da 170 a oltre 300 punti (oggi siamo intorno a 500), è diventato praticamente impossibile, se non a costi elevatissimi, collocare presso gli investitori istituzionali proprie obbligazioni a medio lungo termine. Questo canale di finanziamento, finché lo spread non calerà sotto i 350 punti, rimarrà al momento chiuso. Così come si è rarefatto al massimo l’altro canale di raccolta a brevissimo termine di cui le banche erano abituate a disporre: quello interbancario. Solo istituti con elevato standing e con un attivo poco pericoloso sono in grado di fare i cosiddetti repos, o pronti contro termine, con altre banche. I Fondi monetari americani da qualche mese non investono più in titoli di banche europee, e così si spiegano le difficoltà incontrate da un colosso come Bnp Paribas per le attività in dollari.
Dunque, riepiloghiamo. La raccolta delle banche si regge normalmente su tre pilastri: interbancario, bond ai grandi investitori, bond e depositi sui piccoli risparmiatori. Ecco, in questo momento si può dire che i primi due canali sono praticamente chiusi, se si fa eccezione per lo sportello aperto presso la Bce. Non è un caso che da qualche mese la banca centrale abbia registrato un’impennata dei depositi a breve, le banche portano titoli “eligible”, cioè carta buona, a Francoforte e in cambio ricevono liquidità a breve a un tasso non superiore all’1,5%. Con la conseguenza che il sistema bancario si sta finanziando a breve termine per prestare a lungo termine, cioè esattamente quella pratica che i manuali di banca consigliano di evitare per non esporre le banche a una crisi di liquidità.
Ed eccoci al punto. Oltre alla Bce rimane in vita soltanto il canale “retail”, quello dei milioni di clienti degli sportelli sparsi sul territorio, comuni cittadini, piccoli risparmiatori e piccoli imprenditori. La spina dorsale dell’economia non solo italiana che ancora una volta si ritrova a dover sostenere i guai causati da altri. I riflettori sono puntati su di loro per catturare i normali depositi, per la sottoscrizione di bond bancari, e per la vendita di Bot, Btp e Cct. Un fardello sulle spalle non indifferente in un momento in cui le statistiche e l’andamento stagnante dell’economia dicono che il tasso di risparmio degli italiani è in forte declino.
Ecco alcune cifre messe in fila in uno studio di Barclays: nel 2012 Intesa Sanpaolo dovrà far fronte a scadenze per 22 miliardi, Unicredit per 19 solo in Italia, Mps per 13 e Ubi per 10. Ipotizzando un collocamento di bond nel 2012 identico a quello del 2011, sia tramite sportelli, sia con i cosiddetti covered bond (obbligazioni aventi come sottostante attivi della banca) solo Intesa avrebbe un gap positivo di 2 miliardi mentre Unicredit deve trovare 3 miliardi in più, Mps altri 3 e Ubi 2. In pratica le reti al dettaglio saranno messe sotto stress per drenare la liquidità necessaria a prestare gli stessi soldi alle imprese e alle famiglie. Con una difficoltà in più: l’aumento degli spread sta provocando una sorta di “crowding out” (vantaggio competitivo) a favore dei titoli di Stato. Vale a dire che, dal punto di vista del risparmiatore, i rendimenti molto allettanti dei titoli di Stato tendono a mettere fuori gioco i bond bancari che devono adeguare al rialzo i rendimenti dei propri prodotti con un conseguente aumento del costo della raccolta. Se a ciò si aggiunge che il Tesoro italiano ha annunciato la volontà di vendere i titoli di Stato direttamente attraverso il canale Internet ecco un’altra notizia negativa per le banche che rischiano di perdere clienti e commissioni.
«Attenzione a non esagerare nel mettere le banche sul banco degli imputati avverte però Alessandro Profumo, il banchiere che ha fatto grande Unicredit i regolatori e i governanti dovrebbero rendersi conto che l’economia europea gira intorno alle banche e se queste si inceppano, perché non riescono a raccogliere liquidità sufficiente, a soffrire è tutta l’economia poiché le imprese non ricevono sufficienti prestiti». Insomma per Profumo negli ultimi tempi si è puntato troppo il dito sui guai causati dai banchieri mentre l’origine dei problemi è una perdita di credibilità della politica. E si è pensato poco a come ricostruire un sistema virtuoso in grado di fornire liquidità al sistema. «Perché non pensare ad un allargamento dello strumento dei covered bond, per esempio, oggi consentiti solo con asset sicuri come i mutui e i crediti alle amministrazioni pubbliche aggiunge Profumo o a qualche sistema per riaprire il mercato delle cartolarizzazioni, vitale per le banche?». Vedremo se il nuovo governo sarà più sensibile al tema rispetto a quanto fatto in passato da Tremonti.
Esiste però un altro rischio da non sottovalutare in questo contesto così complicato. Visto che il focus dei banchieri si concentra sempre più sui clienti, e in presenza di una concorrenza sempre più agguerrita, il rischio che le banche comincino a confezionare prodotti strani e troppo sofisticati di cui la clientela dello sportello non riesce a capire i contorni è piuttosto alto. Un esempio può far capire meglio il fenomeno. Nelle scorse settimane sono arrivate diverse segnalazioni da correntisti del Monte dei Paschi di Siena per proposte di prestito di titoli di Stato giacenti nei conti amministrati dei clienti a fronte di una commissione minimale. Il sospetto degli investitori era che una volta ottenuti i titoli in prestito la banca li portasse allo sconto presso lo sportello Bce, trasformando di fatto una raccolta indiretta in diretta, garantita non con il portafoglio proprio ma con quello dei correntisti. La banca in questione ha confermato l’esistenza di contratti di prestito titoli per Bot e Btp ma solo per fronteggiare una domanda crescente di titoli in prestito da parte di operatori intenzionati a vendere allo scoperto i bond italiani. Intermediazione assolutamente lecita, come ha confermato la Banca d’Italia, a patto che il risparmiatore venga adeguatamente informato delle caratteristiche dell’operazione.
Ma non si può non osservare come già in passato prodotti assolutamente leciti si siano trasformate in vere e proprie trappole per i risparmiatori. Dunque, allerta.