Dell’Olio
Milano
Che il sistema pensionistico pubblico italiano non sia sostenibile nel medio periodo non è certo una novità. Uno studio condotto da Allianz Global Investors mette però in luce anche i limiti degli strumenti di previdenza integrativa fin qui adottati, nel confronto con gli altri paesi. Così, mentre nella Penisola si apre il dibattito sulla quarta gamba della previdenza, arriva il richiamo a mettere prima ordine tra gli strumenti già esistenti.
Gli analisti della società di asset management hanno messo a punto il Pension Sustainability Index, un indicatore sintetico che illustra il livello di pressione per la riforma del sistema pensionistico nei diversi paesi del mondo (44 quelli esaminati). Partendo dalla situazione demografica, sono state prese in considerazione le dinamiche attese nei prossimi decenni alla luce dei mutamenti legislativi in atto. Quindi gli analisti hanno soppesato il grado di copertura del sistema pensionistico pubblico, il suo peso sulla ricchezza prodotta nei singoli paesi, lo stato delle finanze pubbliche e la loro sostenibilità alla luce della crisi in atto. Il risultato è appunto l’indice generale, che si sviluppa su una scala da uno a otto. Il paese più vicino al tetto massimo è la Grecia, che ha visto peggiorare notevolmente la sua situazione negli ultimi mesi, proprio alla luce della crisi che ha investito il suo debito sovrano. Segue un quartetto asiatico, con l’India e la Cina che per una volta non brillano per virtuosismo, facendo peggio di Tailandia e Giappone. La Spagna è settima e precede Romania e Turchia, mentre al nono posto si piazza l’Italia. «La situazione dell’Italia è preoccupante soprattutto sotto il profilo dell’invecchiamento medio della popolazione», osserva Tommaso Giorgetti, responsabile della branch italiana di Allianz Global Investors. Il riferimento è, in particolare, all’indicatore relativo alla spesa pensionistica in rapporto al pil: su questo fronte l’Italia fa registrare il valore più elevato tra i 44 paesi considerati, intorno al 14%. «L’aumento della popolazione in pensione, combinato con una dinamica stagnante dell’economia produce un cortocircuito», prosegue Giorgetti. Non se la passa granché bene nemmeno la Francia, che si posiziona al di sopra del 13%, mentre la Germania è tre punti più sotto. Un differenziale che si traduce in minori risorse disponibili per le altre voci del welfare, per la promozione attiva del lavoro e per tutela i lavoratori dalla perdita del posto.
L’urgenza di riformare il sistema pensionistico è ben presente da tempo nel dibattito italiano e nelle ultime settimane il tema è tornato d’attualità con la previsione di un quarto pilastro del sistema previdenziale, vale a dire i cosiddetti piani individuali di risparmio (pir) previsti in poche righe dalla manovra di Ferragosto. Per questi strumenti si prevede un’aliquota di favore — del 12,5% contro il 20% che da gennaio 2012 graverà su tutti redditi da capitale esclusi i titoli di Stato — che andrebbe ad affiancarsi alla previdenza obbligatoria (Inps e casse di categoria), ai fondi pensione chiusi e aperti, oltre che alle polizze individuali di natura assicurativa (pip). Per Giorgetti, tuttavia, il decollo del nuovo strumento non sarebbe la soluzione dei mali nazionali: «La situazione attuale è caotica, per cui sarebbe preferibile fare chiarezza prima ancora che pensare a nuove soluzioni», è la sua opinione. In particolare, «occorrerebbe procedere con una serie di semplificazioni degli strumenti oggi disponibili, per aiutare gli utenti a scegliere». Sotto accusa finisce soprattutto la «commistione tra strumenti di gestione individuale e collettiva» e, in questo senso, una mano potrebbe arrivare da «una maggiore comunicazione ai cittadini, a cominciare dalle scuole».
Per l’esperto, non servono soluzioni particolarmente innovative: il benchmark di riferimento è costituito da quei paesi che hanno saputo trovare un equilibrio tra le diverse esigenze e oggi primeggiano nell’indicatore messo a punto da Allianz Global Investors. Davanti a tutti si trova l’Australia, caratterizzata da un ruolo preminente della componente privata. La pensione è pagata dallo Stato solo a coloro che si trovano al di sotto di certi parametri massimi di reddito e di patrimonio. Seguono la Svezia e la Danimarca, a dimostrazione di come sia possibile far quadrare i conti anche nella Vecchia Europa. Quindi è la volta di Nuova Zelanda e Paesi Bassi. Per finire uno sguardo agli Stati Uniti che si piazzano a metà classifica (17esimo posto tra i più virtuosi): un risultato che media tra un progressivo invecchiamento della popolazione e un sistema di pensioni pubbliche meno costoso rispetto all’Europa.