Il destino delle holding di famiglia dipende dal rilancio di FonSai Per questo le banche creditrici spingono affinché il turnaround abbia successo Anche a costo di un nuovo aumento di capitale. Che mette a rischio il controllo 

di Andrea Di Biase

 

Sinergia e Imco, le due holding a monte della filiera Premafin-FonSai, sono davvero a un passo dalla liquidazione in bonis? E davvero la crisi del debito sovrano dei Paesi dell’euro, combinata alle problematiche ancora non risolte ai vari livelli della catena di controllo del gruppo Ligresti, rischia di costringere l’ingegnere di Paternò e i suoi tre figli (Jonella, Giulia e Paolo) a una resa incondizionata, fino al punto di cedere il controllo di Fondiaria-Sai e Milano Assicurazioni? Sono queste le domande che ormai in molti a Piazza Affari e dintorni continuano a porsi, dopo che negli ultimi giorni sui giornali sono apparsi articoli in cui questa prospettiva veniva fatta balenare senza mezzi termini.

Che la situazione in tutti e tre i livelli della catena di controllo (il sistema di holding e società immobiliari non quotate, Premafin e FonSai-Milano) sia complicata non è infatti un mistero, ma che l’avventura di Ligresti sia davvero giunta al capolinea non è forse poi così scontato, considerato che già in passato l’ingegnere è riuscito a tirarsi fuori da situazioni altrettanto complicate, anche grazie all’aiuto dellaMediobanca di Cuccia e Maranghi prima e della Banca di Roma di Cesare Geronzi in tempi più recenti.

Oggi, però, molti dei tradizionali punti di riferimento di Ligresti, a partire da Silvio Berlusconi e dallo stesso Geronzi, non ricoprono più ruoli centrali nel sistema. Ecco perché, rispetto a quanto accaduto in passato, la soluzione ai problemi del gruppo sembra destinata a passare attraverso soluzioni di mercato, che potrebbero essere anche dolorose per l’ingegnere e i suoi figli.

 

Ma quali sono gli scogli che Ligresti si troverà di fronte nei prossimi mesi? Il primo riguarda la situazione debitoria di Sinergia e Imco. La moratoria sul debito delle due holding, pari a 325 milioni, siglata lo scorso giugno con le banche (la più esposta è Unicreditcon 170 milioni), a fronte dell’impegno di Ligresti a rimborsare il debito tra due anni con la liquidità incassata dalle cessioni immobiliari, deve essere rinegoziata. Da allora sono passati quasi sei mesi e Sinergia e Imco non sono riuscite a vendere un solo asset immobiliare. Colpa della crisi, ma anche del fatto che la maggior parte di questi asset non sono palazzi di pregio nei centri storici di Milano e Roma, ma progetti di sviluppo immobiliare e in una fase come quella attuale, con le banche poco propense a finanziare il settore delle costruzioni, gli acquirenti scarseggiano. L’anno e mezzo che rimane a disposizione delle due società per incamerare la liquidità necessaria a rimborsare il debito potrebbe dunque non bastare. Di qui l’idea di chiedere alle banche un prolungamento della moratoria fino al 2015. Ma questa non è l’unica richiesta che dovrebbe essere formulata ai creditori. Per procedere nello sviluppo di tali progetti immobiliari (comunque destinati alla vendita), Sinergia e Imco avrebbero bisogno di nuova finanza per circa 60 milioni nell’arco dei prossimi 2-3 anni. Nel frattempo le due società, che una volta valorizzati i loro asset avranno esaurito la loro missione, sono pronte a mettere a completa disposizione delle banche (pur rimanendone di fatto proprietarie) il 20% detenuto in Premafin. Un pacchetto che gli istituti, in base all’andamento delle cessioni immobiliari, potrebbero decidere di valorizzare (ma la famiglia potrà sempre contare su un altro 30% diPremafin). Anche se è escluso che possano farlo nel breve periodo, considerato che oggi, con Fondiaria-Sai ancora in piena fase di ristrutturazione, tale pacchetto di azioni vale poco più di 12 milioni. Tuttavia se il turnaround del gruppo assicurativo, affidato all’ad Emanuele Erbetta e al dg Piergiorgio Peluso, dovesse decollare, è possibile che anche le azioni di Premafin possano apprezzarsi, consentendo di massimizzare un’eventuale vendita. Per questo motivo, spiega un banchiere che sta seguendo in prima persona la vicenda, c’è tutto l’interesse da parte dei creditori di Sinergia e Imco affinché il rilancio di FonSai abbia successo. Da quello che succederà nella parte più bassa della filiera del gruppo dipenderà infatti anche la sorte delle società collocate ai piani superiori. Da questo punto di vista Premafin, pur non potendo contare su un flusso di dividendi da FonSai, sembra godere di una relativa tranquillità almeno per un anno ancora. Il debito, pari a 322,5 milioni, è congelato fino al 2013, e il fabbisogno che potrebbe emergere dall’eventuale impairment della partecipazione nella compagnia assicurativa (chiesto dalla Consob) potrebbe essere affrontato grazie anche ai proventi della cessione della partecipazione nel consorzio Porta Nuova Varesine a Milano, che potrebbe essere finalizzata a breve.

Più critica, scendendo di un piano nella filiera del gruppo, appare invece la situazione della parte assicurativa. Nonostante la recente ricapitalizzazione da 450 milioni (più quella da 350 milioni della controllata Milano) Fondiaria-Sai è, a detta degli analisti, tuttora a corto di patrimonio ed è altamente probabile che, nonostante le azioni di capital management che verranno approvate dal cda di martedì 29 novembre (affrancamento degli avviamenti per registrare benefici fiscali, cessione di alcuni immobili tra Roma e Milano) per riportare il Solvency ratio al 120%, la pulizia di bilancio che il management potrebbe essere costretto a compiere nei prossimi mesi potrebbe comportare la necessità per FonSai di cercare ulteriori risorse fresche rivolgendosi nuovamente al mercato. Per ora, come precisato sabato 19 novembre da un portavoce della compagnia, FonSai «non ha allo studio alcun aumento di capitale», ma gli analisti si attendono comunque che già nella prima parte del 2012 il gruppo possa tornare a chiedere soldi al mercato.

Questo è forse il passaggio più delicato di tutta la partita. Difficilmente, infatti,Premafin, che lo scorso luglio è riuscita a sottoscrivere l’aumento grazie al ricavato dalla vendita di parte dei suoi diritti d’opzione a Unicredit, potrebbe avere le risorse necessarie per fare altrettanto. Almeno sulla carta, il rischio che i Ligresti allentino ulteriormente la presa sulla compagnia è alto. Non per niente la famiglia, che gode tuttora del supporto di Mediobanca e di Alberto Nagel, si è rivolta alla Banca Leonardo di Gerardo Braggiotti anche per studiare il modo per non perdere il controllo del gruppo. (riproduzione riservata)