L’incognita della celebre profezia di Einstein («Io non so come sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma posso dirti cosa useranno nella quarta: pietre!») ha ora un nome: spread. E nell’arsenale ci sono anche altri micidiali strumenti, chiamati rating, fair value e credit default swap. Pensare che queste siano le cause della rovina economica occidentale, invece che le armi con cui la nuova guerra viene combattuta, sarebbe degno di un folle o di un miope. Ma i governi occidentali, ormai è chiaro, non sono né folli né miopi: sono deboli o collusi, o non riescono a combattere o cercano in anticipo disperate alleanze col vincitore prossimo venturo.
Lascia esterrefatti il modo in cui è stato sin qui gestito l’attacco selvaggio sferrato in estate contro le nostre economie. Le autorità di controllo europee sono restate inerti a fronte di manovre maleodoranti di manipolazione; i governi nazionali e sovranazionali hanno reagito in maniera approssimativa e sconclusionata, con minacce vaghe, inette quanto i loro proclami di rigore, inutili quanto le loro misure fatte di pezze e tamponi; nessun vertice ha osato chiedersi, prima ancora di andare a vedere, chi si nascondesse dietro questa violenta offensiva, come più volte MF-Milano Finanza ebbe a suggerire additando rimedi concreti e possibili, sprofondati nell’indifferenza. Eppure, la Pearl Harbour estiva parla molto chiaro.
Le polemiche (solo le polemiche), pur sacrosante, si sono addensate sulle società di rating, ma nessuno ha osato introdurre una norma capace di frenarle. Vi ha accennato Obama e per tutta risposta si è visto declassare il debito pubblico. Bersaglio naturale dell’anatema, poi, la speculazione, quella cattiva, quella truccata, ma nessuno si è domandato chi fossero i biscazzieri con le carte segnate.
Oggi, l’annichilente sorpresa si chiama Bric. I mercati stramazzano, le economie languono e si fa avanti la Cina con 100 miliardi in mano, pronta a soccorrere il moribondo. Al G20 si traccheggia, Brasile, India e Russia fanno un accenno, la Cina tace e si riserva, ma secondo recenti indiscrezioni del Financial Times, emerse dal colloquio del 28 ottobre fra Klaus Reigling (direttore dell’Efsf) e Zhu Guangyao (ministro delle Finanze cinesi), essa gradirebbe, è ovvio, alcune contropartite fra cui il maggior peso in seno al Fmi di «altri Paesi». Ma davvero?
L’attacco, chiunque ne sia l’artefice, è stato magistrale. Sfruttando la crisi greca (sappiamo bene da chi provocata), il mirino è stato rapidamente deviato sull’Italia. Poco importa che questo sia l’unico Paese europeo con un avanzo primario; che stia poco sopra al rapporto deficit/pil richiesto da Maastricht, mentre altri lo sforano allegramente e impunemente; che le sue banche siano le più solide del continente mentre nel resto dell’Europa i livelli capitale/attivo sono pericolosamente prossimi a quelli dei fondi governativi americani (i garanti dei subprime benedetti dai rater). Anzi, meglio, e qui sta la genialità dell’attacco ispirato all’intramontabile divide et impera: puntare le armi contro l’Italia centra un triplice obiettivo: spargere panico nel sistema Occidente dove l’Italia, con buona pace degli irresponsabili detrattori che la abitano, ha ancora un peso massiccio, rinfocolare sogni di grandeur o di Neue Reich in capo a chi per molti versi sta peggio, creare un’infiacchente divisione all’interno dell’eurozona. Tutta opera dei Bric e di chi, nell’Occidente, si sia prestato a far da scherano? Chi può dirlo, ma Il sospetto è forte, perché neppure il più avido e perverso finanziere occidentale potrebbe seriamente pensare di sferrare, da solo, un simile attacco sistemico capace di distruggere intere economie reali, la sola fonte da cui la finanza possa attingere la sua linfa. Ma la verità non affiora perché governi e authority stanno a guardare. Il peggio, però, arriva dalla dotta società civile, che non solo guarda inerte agli eventi rievocando tristi aventinismi del passato, ma riesce a leggervi una sorta di nemesi e un’occasione di redenzione: si assisterà all’inevitabile ribilanciamento dei ruoli e le liquidità esotiche creeranno nuove possibilità di cooperazione, gli emergenti stessi non hanno nessun interesse ad affossare l’Europa, cioè un loro essenziale mercato di sbocco. Non c’è dubbio, nessun intelligente conquistatore vuol fare terra bruciata del luogo che va a occupare. Ma quando l’Europa sarà ridotta al ventre molle (e magro) del nuovo mondo, il conto verrà presentato e per saldarlo le concessioni saranno ben maggiori di un voto in più nel consiglio del Fmi. Se gli europei, in luogo di canzonarsi e sgambettarsi a vicenda con la sola prospettiva di restare i primi degli ultimi, cercheranno finalmente di fare quadrato, di imparare dalla storia (anche) recente e di reagire con coesione a questo attacco, forse la quarta guerra mondiale non verrà e, se mai venisse, non saremmo costretti a combatterla con le pietre. (riproduzione riservata)
Emilio Girino