L’attuale cambiamento nei modi e nei tempi di lavorare conseguenti alla sempre maggiore estensione dei mercati, ha portato con sé la necessità di dilatare i tempi di produzione richiedendo l’aumento dell’impegno temporale delle macchine e quindi anche l’impiego in orario notturno.
E’ da tempo riconosciuto che il lavoro notturno è “antibiologico” e quindi va considerato un fattore di rischio con conseguenze sulla probabilità di infortunio. A tale proposito, uno studio della Consulenza Statistico Attuariale ha messo in evidenza la rischiosità del lavoro notturno misurata attraverso il rapporto tra gli infortuni denunciati e i lavoratori esposti al rischio notturno (incidenza infortunistica) che per l’anno 2010 è stata stimata pari al 27‰, più bassa, quindi, di quella registrata per il totale dei lavoratori (34‰).
Dalla lettura dei dati statistici risulterebbe, dunque, un rischio inferiore per i lavoratori notturni rispetto al complesso. I fattori che incidono sulle differenze di rischiosità rilevate possono essere varie: molte lavorazioni con incidenza infortunistica elevata, come per esempio le Costruzioni vengono svolte prevalentemente in orario diurno; le attività industriali, notoriamente più pericolose, se svolte a ciclo continuo sono caratterizzate da un’automazione che è sicuramente maggiore di notte rispetto alle ore diurne; inoltre, in questi settori molte volte è richiesta la sola attività di presidio e di controllo dei macchinari. Per quanto riguarda i Servizi, che notoriamente si prestano allo svolgimento di attività notturne (attività di pulizia, vigilanza, stampa), in generale, hanno livelli di rischiosità più bassi. In aggiunta, alcune lavorazioni sono caratterizzate da ambienti di lavoro che risultano più agevoli in orario notturno quando il numero del personale impiegato è inferiore.
Fonte: INAIL