Con l’ordinanza n. 17307 del 2024 la Terza Sezione Civile della Cassazione precisa che, oltre al proprietario e a chi utilizza l’animale, indicati dall’Art. 2052 del Codice Civile, può rispondere anche un soggetto estraneo ai sensi dell’Art. 2043 del Codice Civile 

Mario Riccardo Oliviero

Per quanto disposto dell’Art. 2052 del Codice Civile, la responsabilità per i danni causati da animali, è sempre stata ricondotta al proprietario oppure a chi lo utilizza: «Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito».

Con l’ordinanza n. 17307 emessa nel 2024 dalla Terza Sezione Civile della Cassazione, la giurisprudenza della Suprema Corte prevede che, oltre a questa coppia, può essere individuato anche un altro soggetto che concorre ai sensi dell’Art. 2043 del Codice Civile: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

IL CASO

 

Prima di entrare nell’esercizio commerciale, il cliente di un caseificio viene azzannato da un pastore tedesco, nonostante fosse legato alla catena, ma così lunga da poter raggiungere gli avventori.  A causa delle lesioni riportate il cliente chiedeva ai sensi dell’Art. 2052 del Codice Civile la condanna in solido sia del proprietario dell’animale sia dell’attività commerciale che lo utilizzava per la guardiania della struttura. Attribuendo, così, a quest’ultimo una responsabilità concorrente ai sensi dell’Art. 2043 del Codice Civile, in quanto l’animale era tenuto in custodia presso l’esercizio commerciale in violazione delle comuni regole di prudenza.

 

IL RICORSO

La sentenza di primo grado aveva ravvisato la concorrente responsabilità, del proprietario dell’animale ai sensi dell’Art. 2052 Codice Civile e dell’esercizio commerciale ma non per responsabilità civile generale ex Art. 2043 del Codice Civile ma per cose in custodia ex Art. 2051 Codice Civile: «Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito», condannandoli in solido al risarcimento dei danni. La Corte d’Appello riforma la sentenza di primo grado escludendo la responsabilità per cose in custodia. Avverso la sentenza di appello l’attore ricorre in Cassazione con cinque motivi, contestando che era stata erroneamente riformata la sentenza di primo grado, che aveva condannato al risarcimento dei danni anche il Caseificio, per gli effetti dell’Art. 2051 del Codice Civile per cose in custodia, senza considerare che il Tribunale aveva legittimamente esercitato il suo potere di qualificare giuridicamente la domanda attorea secondo il principio jura novit curia: per cui è il tribunale che conosce quali leggi sia corretto applicare.

LA SENTENZA

In punto di fatto e diritto, la Corte di Cassazione conferma la sentenza di appello che aveva riformato quella di primo grado, rigettando il ricorso dell’attore e condannandolo al pagamento delle spese processuali.

LE MOTIVAZIONI

Secondo gli ermellini la Corte d’Appello ha correttamente riformato la decisione di primo grado perché il Tribunale aveva attribuito la responsabilità oggettiva anche del Caseificio ai sensi dell’Art. 2051 del Codice Civile. I giudici di legittimità rilevano, però, che l’attore non abbia mai invocato la responsabilità per cose in custodia, limitandosi soltanto alla responsabilità prevista dall’Art. 2052 ed eventualmente dall’Art. 2043 del Codice Civile. L’unica responsabilità configurabile al caso può «essere solo quella di cui all’Art. 2052 del Codice Civile perché in concreto si controverteva unicamente in tema di custodia di un animale» e che «a tale responsabilità poteva aggiungersi solo quella ex art. 2043 del Codice Civile, a carico dell’appellante in quanto soggetto non custode, ma anch’essa è stata esclusa».

La Suprema Corte ha già avuto modo di affermare, infatti, che «la responsabilità per il danno causato dall’animale, prevista dall’Art. 2052 del Codice Civile, incombe a titolo oggettivo ed in via alternativa o sul proprietario, o su chi si serve dell’animale, per tale dovendosi intendere non già il soggetto diverso dal proprietario che vanti sull’animale un diritto reale o parziale di godimento, che escluda ogni ingerenza del proprietario sull’utilizzazione dell’animale, ma colui che, col consenso del proprietario, ed anche in virtù di un rapporto di mero fatto, usa l’animale per soddisfare un interesse autonomo, anche non coincidente con quello del proprietario».

Secondo i giudici cassazionisti la responsabilità oggettiva prevista dall’Art. 2052 del Codice Civile può, quindi, essere alternativamente del proprietario dell’animale o di chi se ne serve per il periodo in cui l’ha in uso, come dimostrato dall’uso della congiunzione disgiuntiva «o» contenuta nella norma citata. Il carattere alternativo sull’attribuzione della responsabilità non impedisce, però, «che dell’azione dell’animale possa rispondere anche altro soggetto, svincolato da un rapporto di custodia» che risponde per «responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2043 del Codice Civile». In questo caso è necessario valutare il dolo oppure la colpa dell’agente che può sempre concorrere, comunque, con la responsabilità ai sensi dell’Art. 2052 del Codice Civile.

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