Secondo quanto riporta l’ISTAT, nel 2023 la spesa media mensile per consumi delle famiglie in valori correnti è pari a 2.738 euro, in aumento (+4,3%) rispetto al 2022 (2.625 euro). Tale incremento, tuttavia, non corrisponde a un aumento del tenore di vita. Infatti, tenendo conto dell’inflazione, ancora elevata nel 2023 (è +5,9% la variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA), la spesa in termini reali diminuisce (-1,5%).
Poiché la distribuzione dei consumi è asimmetrica e più concentrata nei livelli medio-bassi, la maggioranza delle famiglie spende un importo inferiore al valore medio. Osservando il valore mediano (il livello di spesa per consumi che divide il numero di famiglie in due parti uguali), il 50% delle famiglie residenti in Italia ha speso nel 2023 una cifra non superiore a 2.243 euro (2.197 euro nel 2022).
Il forte aumento dei prezzi che ha caratterizzato il 2023, seppure in maniera più contenuta rispetto al 2022, è stato fronteggiato dalle famiglie risparmiando meno o attingendo ai risparmi, ma anche modificando le proprie abitudini di consumo. La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata, infatti, del 6,3%, in calo rispetto al 2022 (7,8%) e molto al di sotto del livello pre-Covid (8,0% nel 2019).
Inoltre, analogamente a quanto già osservato nell’anno precedente, anche nel 2023 le famiglie hanno modificato le proprie scelte di acquisto, in particolare nel comparto alimentare: il 31,5% delle famiglie intervistate nel 2023 dichiara, infatti, di aver provato a limitare, rispetto a un anno prima, la quantità e/o la qualità del cibo acquistato (erano il 29,5% nel 2022).
Più in dettaglio, nel 2023, a fronte di un forte incremento dei prezzi di Alimentari e bevande analcoliche (+10,2% la variazione su base annua dell’IPCA), le spese delle famiglie per l’acquisto di questi prodotti sono cresciute del 9,2% rispetto all’anno precedente (526 euro mensili, pari al 19,2% della spesa totale), con punte dell’11,2% nel Nord-est e del 10,7% nel Centro.
La spesa non alimentare cresce del 3,2%
La spesa non alimentare cresce del 3,2% rispetto al 2022 (in media 2.212 euro mensili, che rappresentano l’80,8% della spesa totale), con aumenti attorno al 5% nel Centro (5,1%) e nelle Isole (5,2%). Il livello di spesa non alimentare più elevato si osserva, come nel 2022, nel Nord-ovest: 2.474 euro, senza però differenze significative rispetto ai 2.429 euro dell’anno precedente.
La crescita interessa la maggior parte delle divisioni di spesa, ma aumentano soprattutto le spese per Servizi di ristorazione e di alloggio (+16,5%, 156 euro mensili), per Beni e servizi per la cura della persona, servizi di protezione sociale e altri beni e servizi (+14,5%, 138 euro), quelle per Servizi assicurativi e finanziari (+14,1%, 76 euro) e le spese per Ricreazione, sport e cultura (+10,8%, 102 euro). A seguire, aumentano le spese per Trasporti (+9,2%, 291 euro mensili), per Istruzione (+8,7%, 16 euro mensili) e per Salute (+3,8%, 118 euro).
In leggera flessione i divari territoriali
Nel 2023 l’incremento delle spese delle famiglie in termini correnti è diffuso su tutto il territorio nazionale, ed è particolarmente intenso nel Centro (+6,0%) e nelle Isole (+5,7%), mentre il Nord-est (+4,4%) si mantiene sostanzialmente in linea con il dato nazionale. Al di sotto si collocano invece il Sud e il Nord ovest (rispettivamente +4,0% e +2,7%).
I livelli di spesa più elevati, e superiori alla media nazionale, continuano a registrarsi nel Nord-ovest (2.979 euro), nel Nord-est (2.969 euro) e nel Centro (2.964 euro), mentre sono più bassi (e inferiori alla media nazionale) nelle Isole (2.321 euro) e nel Sud (2.203 euro).
Nel 2023, nel Nord-ovest si spendono in media circa 776 euro in più del Sud (e cioè il 35,2% in più, era il 36,9% nel 2022), mentre rispetto alle Isole il vantaggio del Nord-ovest in valori assoluti è di 658 euro (pari al 28,4% in più, l’anno precedente era il 32,0%). Rispetto al 2022, dunque, si assiste ad una lieve riduzione delle differenze relative nei livelli di spesa fra il Nord-ovest e il Mezzogiorno.
Anche nel 2023 le regioni con la spesa media mensile più elevata sono Trentino-Alto Adige
(3.478 euro) e Lombardia (3.189 euro), mentre Puglia e Calabria sono quelle con la spesa più contenuta, rispettivamente 2.060 e 2.008 euro mensili. La quota più alta per Alimentari e bevande analcoliche si registra proprio in Calabria, dove si attesta al 28,0%, a fronte del 19,2% osservato a livello nazionale e del 14,9% del Trentino-Alto Adige. In generale, nel Sud e nelle Isole, dove le disponibilità economiche sono solitamente minori e dunque le voci destinate a soddisfare i bisogni primari pesano di più sulla spesa familiare, la quota di spesa per Alimentari e bevande analcoliche è più elevata e nel 2023 arriva, rispettivamente, al 25,0% e al 23,4% (mentre nel Nord-ovest si ferma al 17,0%).
La spesa cresce di più per le famiglie di lavoratori in proprio
Al crescere del livello di istruzione della persona di riferimento della famiglia (PR) migliora la condizione economica e, di conseguenza, il livello di spesa mensile. Si passa, infatti, dai 1.784 euro mensili delle famiglie in cui la persona di riferimento ha al massimo la licenza elementare (essendo anche mediamente più anziana), ai 3.722 euro di quelle con persona di riferimento con laurea o titolo di studio post-laurea.
Tenendo conto del livello di istruzione della PR, nel 2023 quasi tutte le famiglie aumentano la loro spesa per consumi. Unica eccezione, le famiglie con persona di riferimento in possesso di laurea o titolo di studio post-laurea, la cui spesa resta stabile. Sono proprio queste famiglie a dedicare la quota di spesa più elevata a beni e servizi non alimentari (l’84,8%, a fronte dell’80,8% a livello nazionale), in particolare per Servizi di ristorazione e di alloggio (7,9%) e per Ricreazione, sport e cultura (4,8%).
Anche la condizione professionale della persona di riferimento della famiglia influenza fortemente il livello e la composizione della spesa mensile. Sono le famiglie in cui la PR è imprenditore o libero professionista a spendere di più (4.140 euro mensili), seguite da quelle che hanno come persona di riferimento un lavoratore dipendente nella posizione di dirigente, quadro o impiegato (3.358 euro). I livelli di spesa più contenuti si osservano invece nelle famiglie con condizioni economiche più precarie, e cioè quelle con PR in cerca di occupazione (1.921 euro mensili) o con PR inattiva ma non ritirata dal lavoro (1.966 euro).
In entrambi i casi quasi un quarto della spesa è destinato all’acquisto di beni alimentari e bevande analcoliche. Rispetto al 2022, ad aumentare la spesa per consumi sono soprattutto le famiglie che hanno come persona di riferimento un lavoratore indipendente diverso da imprenditore e libero professionista (+9,1%) e un dipendente nella posizione di operaio e assimilato (+5,1%). Seguono le famiglie con PR ritirata dal lavoro (+4,1%) e quelle in cui la PR è inattiva ma non ritirata dal lavoro (+3,7%).
4,8 milioni le famiglie in affitto, 3,8 milioni pagano un mutuo
In Italia, nel 2023 paga un affitto per l’abitazione in cui vive il 18,1% delle famiglie (meno di 4,8 milioni). Tale percentuale varia dal minimo delle Isole (14,6%) al massimo del Nord-ovest (19,9%). La spesa media per le famiglie che pagano un affitto è di 421 euro mensili a livello nazionale (erano 419 nel 2022); tale esborso è più alto nel Nord (450 euro nel Nord-ovest e 456 nel Nord-est) e nel Centro (436 euro) rispetto a Sud (350 euro) e Isole (367 euro), nonostante nel Centro-nord (secondo i dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate) le abitazioni in affitto siano mediamente più piccole rispetto al Mezzogiorno. La quota più elevata di famiglie in affitto si registra nei comuni centro di area metropolitana (24,7%), dove il canone medio è pari a 454 euro mensili.
Paga un mutuo il 19,8% delle famiglie che vivono in abitazioni di proprietà (3,8 milioni). Questa quota è maggiore al Nord (25,9% nel Nord-ovest e 24,7% nel Nord-est) e nel Centro (21,6%) rispetto a Sud (10,0%) e Isole (10,5%). Sebbene il mutuo non rientri nella definizione di spesa per consumi, essendo un finanziamento a medio-lungo termine finalizzato ad accrescere il patrimonio immobiliare, per le famiglie che lo pagano rappresenta un esborso consistente e pari, in media, nel 2023, a 567 euro mensili, che salgono a 600 nei comuni centro di area metropolitana. Il valore medio della rata mensile
è in aumento rispetto ai 539 euro del 2022 a causa della crescita dei tassi di interesse sulla quota di mutui a tasso variabile.
L’inflazione erode il potere d’acquisto di tutte le famiglie
Tra il 2022 e il 2023 la dinamica della spesa equivalente delle famiglie (+3,9% a livello nazionale) è diversificata tra i diversi quinti, andando da un minimo di +3,0% per il quarto quinto a un massimo di +4,9% per il primo quinto. Per le famiglie del secondo quinto è pari a +4,0%, per quelle del terzo a +4,6% e per quelle dell’ultimo quinto a +3,9%.
L’impatto della crescita dei prezzi tra il 2022 e il 2023, misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA), che per l’intera popolazione è pari a +5,9%, è infatti più forte per le famiglie meno abbienti (primo quinto) (+6,5%) ed è via via più contenuto al crescere del quinto di appartenenza, fino al +5,7% osservato per le famiglie dell’ultimo quinto (più abbienti). Questo scenario è analogo a quello già osservato nel 2021 su livelli molto più bassi (quando la variazione media annua dell’IPCA era +1,9%) e nel 2022 su livelli più alti (+8,7%). Alle dinamiche descritte per l’ultimo triennio hanno contribuito in forte misura l’aumento dei prezzi per l’abitazione (soprattutto i beni energetici) e per gli alimentari, spese che pesano relativamente di più sul budget delle famiglie meno abbienti.
In termini reali, nel 2023 la spesa equivalente diminuisce per tutte le famiglie, dal -2,6% delle famiglie del quarto quinto al -1,2% osservato per quelle del terzo (-1,9% a livello nazionale).
Allargando retrospettivamente l’orizzonte di osservazione, nel 2023, rispetto al 2018, la spesa è cresciuta in termini correnti del 10,8%, ma questo aumento è stato più che assorbito dalla dinamica inflazionistica generale, come detto molto forte soprattutto nel biennio 2022-2023. Considerando la spesa a prezzi costanti, rispetto al 2018 la spesa media equivalente in termini reali è infatti caduta del 6,1%, denotando un impoverimento generalizzato; il calo è stato intenso sia per le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi, appartenenti al primo e al secondo quinto della distribuzione (-6,9% e -7,5%
rispettivamente), sia, e ancora di più, per le famiglie dei ceti medi e medio-alti, appartenenti al terzo e quarto quinto (rispettivamente, -7,5% e -8,4%).
Soltanto le famiglie più abbienti, appartenenti all’ultimo quinto, hanno in parte contenuto le proprie perdite (-3,1%), e sono anche le uniche ad avere avuto un andamento migliore rispetto alla media nazionale. Se si calcola il rapporto interquintilico tenendo conto dell’inflazione per classi di spesa, con i prezzi fermi al 2018, questo assume il valore di 5,1 nel 2023 e 4,9 nel 2018, mostrando quindi anche un aumento della disuguaglianza nel contesto di impoverimento generale descritto.
Da evidenziare, infine, come le distanze in termini reali tra famiglie più e meno abbienti, appartenenti ai due quinti estremi, si siano ampliate in particolare nell’ultimo triennio: con la ripresa inflazionistica, le famiglie con minori capacità di spesa hanno infatti dovuto scontare un maggiore impatto della crescita dei prezzi rispetto a quelle più abbienti. Rispetto al 2020, nel 2023 le famiglie del primo quinto hanno avuto un’inflazione specifica del 22,2%, rispetto al 15,1% delle famiglie dell’ultimo quinto (+17,4% in media).
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