di Carlo Giuro
La Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) recentemente approvata delinea lo scenario economico di riferimento in cui si colloca la prossima manovra finanziaria. Considerando il passaggio di testimone a Palazzo Chigi, l’analisi delle tendenze in corso e le previsioni per l’economia e la finanza pubblica italiane presentate si limitano allo scenario a legislazione vigente. Il prossimo esecutivo provvederà poi alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2023-2025 e, successivamente, alla redazione della Legge di bilancio sul 2023 da approvare entro il 31 dicembre. In ogni caso la Nadef presenta diversi profili di attenzione utili per alcune riflessioni prospettiche in ambito previdenziale.

Partendo dalle previsioni sull’andamento del pil, che rappresenta il fattore di rivalutazione del metodo contributivo, si rivede in aumento la stima per quest’anno al 3,3 % dal 3,1% dello scenario del Def, grazie alla crescita superiore al previsto registrata nel primo semestre e pur scontando una lieve flessione del pil nella seconda metà dell’anno. A subire gli effetti dell’indebolimento del ciclo internazionale è, invece, la crescita per il 2023, che scende allo 0,6 % dal 2,4% indicato nel Def. Tra i profili di attenzione che il nuovo Governo dovrà porre nella propria agenda previdenziale, probabilmente nel nuovo anno, anche alla luce delle riflessioni già in corso nella precedente legislatura e delle richieste delle parti sociali, c’è la modalità per sterilizzare gli effetti di un pil eventualmente negativo sul montante contributivo. Altro elemento di significativa rilevanza per il sistema pensionistico è rappresentato dall’aumento della spesa pensionistica prodotto dall’inflazione. Le stime riportate dalla Nadef sulla spesa per pensioni in rapporto al pil includono le più recenti misure adottate con la scorsa legge di bilancio 2022 (in particolare Quota 102) nonché i maggiori oneri derivanti dagli interventi previsti questa estate, con riferimento alle misure che anticipano a partire da novembre gli effetti della rivalutazione per l’inflazione delle pensioni (che sarebbero dovuti scattare nel 2023) nonché degli interventi attuati con precedenti provvedimenti come quelli su Quota 100 del 2019-2021. Da un picco al 16,9 % nel 2020, il rapporto tra spesa pensionistica e pil è visto nel 2022 al 15,7%, comunque mezzo punto percentuale di pil al di sopra del dato del 2018. Nel 2023-2024 dovrebbe salire al 16,4%, livello che viene mantenuto fino al 2030. Dopo il 2030, il rapporto, secondo le proiezioni, riprenderà ad aumentare fino al 16,9 % nel 2044. Tale dinamica è dovuta all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, solo parzialmente compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento. L’effetto dovuto all’aumento del numero dei trattamenti previdenziali supera quello relativo al contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa. Dal 2045, il rapporto dovrebbe diminuire al 16,1 % nel 2050 e al 13,8 % nel 2070. La rapida riduzione è determinata dall’applicazione generalizzata del contributivo che si accompagna all’inversione di tendenza del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati.

Tale andamento risente sia della progressiva uscita delle generazioni del baby boom sia degli effetti dell’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita. Anche alla luce delle previsioni aggiornate occorre ora verificare quale sarà la strategia previdenziale del nuovo governo immaginando verosimilmente una prima fase con l’introduzione nella Legge di Bilancio 2023 di misure di contingenza come il rinnovo di Opzione donna e l’ Ape sociale che scadono il prossimo dicembre e una soluzione di flessibilità in uscita che compensi il venir meno di Quota 102, sempre a fine 2022, che potrebbe anche essere prorogata visti i tempi ristretti. Potrebbe seguire una una seconda fase di più ampio respiro che consideri temi come la pensione di garanzia contributiva, gli effetti del pil sul contributivo, la flessibilità in uscita strutturale, fino al rilancio della previdenza complementare. (riproduzione riservata)
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