I FERRI DEL MESTIERE
Il processo di introduzione della sostenibilità nella finanza si è concretizzato nel marzo del 2021 con l’entrata in vigore degli obblighi informativi a carico degli emittenti, previsti dal Regolamento Ue 2019/2088 (Sfdr), volti a illustrare nei documenti di offerta l’approccio di investimento di ciascun fondo rispetto agli impatti ambientali, sociali e di governance (fattori Esg).
Per rafforzare e rendere effettiva l’informativa ai clienti, con il successivo Regolamento 2021/1253 il legislatore europeo ha modificato il Regolamento delegato Mifid 2, prevedendo l’obbligo per gli intermediari di verificare gli obiettivi d’investimento del cliente anche alla luce di eventuali preferenze di sostenibilità.
Il cerchio si chiude oggi con la pubblicazione da parte dell’Esma delle linee guida del 23 settembre, con le quali viene chiarito come gli intermediari dovranno dar forma alla modifica da ultimo introdotta, curando gli aspetti dell’informativa, della raccolta delle informazioni e della valutazione delle preferenze.
In primo luogo, si precisa che gli obblighi si applicano agli intermediari che prestano consulenza in materia d’investimento o gestione del portafoglio e che dunque devono fornire adeguate raccomandazioni ai clienti o assumere decisioni operative per conto di questi ultimi.
Sul piano informativo, gli intermediari dovranno spiegare, in modo chiaro ed evitando un linguaggio tecnico, il concetto di «sostenibilità» e chiarire la differenza tra prodotti con e senza tale attributo: sembrerà banale ma ancora oggi la sostenibilità viene identificata dai clienti unicamente con il rispetto dell’ambiente, mentre essa abbraccia anche il versante sociale e di governance. L’intermediario dovrà dunque essere in grado di spiegare la differenza tra fondi neutrali che non prevedono alcun tipo di controllo vincolante della sostenibilità nel loro processo di investimento (per esempio quelli che investono nel carbone), fondi che investono in società che promuovono caratteristiche ambientali o sociali e seguano buone pratiche di governance (fondi ecosostenibili), e fondi che hanno come obiettivo investimenti integralmente sostenibili (fondi sostenibili).
Per l’Esma le risposte devono essere molto dettagliate: acquisita la preferenza sulla sostenibilità degli investimenti, l’intermediario, in caso affermativo, dovrà verificare se e in che misura le preferenze di sostenibilità del cliente si limitino a fondi solo ecosostenibili ovvero sostenibili. Dovrà essere concessa anche la possibilità di indicare quale percentuale del portafoglio, in caso di gestione, il cliente intenda riservare a investimenti sostenibili.
In ogni caso, le preferenze di sostenibilità potranno essere prese in considerazione solo dopo aver svolto una valutazione di adeguatezza in base ai canonici criteri di conoscenza ed esperienza, situazione finanziaria e obiettivi, anche temporali, di investimento: il prodotto che soddisfi dunque le preferenze di sostenibilità del cliente non potrà comunque essere raccomandato qualora non ritenuto adeguato sulla base dei più generali criteri di valutazione. La faccenda è tutto tranne che formale. In termini pratici, superato il vaglio di adeguatezza, una non corretta o non trasparente rappresentazione al cliente potrebbe generare responsabilità analoghe a quelle derivanti dalla vendita di un prodotto inadeguato. All’orizzonte già si profila il classico stilema contenzioso: se il prodotto non si rivelerà sostenibile ma farà guadagnare, nessuna obiezione; se farà perdere, scatterà la censura di insostenibilità.
La delicatezza del tema impone un’adeguata formazione al personale (l’Esma stessa la richiede) e una radicale trasformazione dei modelli di commercializzazione. Il tempo stringe e in parte è scaduto: sei mesi dopo la pubblicazione delle traduzioni in tutte le lingue Ue, le linee guida entreranno in vigore, l’obbligo di integrazione delle preferenze di sostenibilità nella valutazione di adeguatezza vige però dal 2 agosto. (riproduzione riservata)
Roberto Pavia
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