A OLTRE TRE ANNI DAL CROLLO ASPI HA INCASSATO DALLE ASSICURAZIONI SOLO 37 MILIONI
di Anna Messia
L’unico indennizzo assicurativo incassato da Autostrade per l’Italia (Aspi) a più di tre anni dal disastro del ponte Morandi del 14 agosto 2018, costato la vita a 43 vittime, è stato un assegno di 37 milioni di euro a valere sulla polizza Responsabilità civile verso terzi (Rct). Su quella non ci sono stati dubbi e le assicurazioni coinvolte non hanno tardato a risarcire quanto previsto dal contratto assicurativo stipulato da Aspi, che prevedeva un massimale di 50 milioni. Una parte di quella somma (13 milioni), secondo quanto ricostruito da MF-Milano Finanza, era già stata spesa per altri sinistri registrati da Aspi lungo la rete autostradale e i 37 milioni rimasti sono stati regolarmente pagati per il Ponte Morandi, con un indennizzo arrivato già nel 2019, a meno di un anno dal disastro. Ma sono solo briciole rispetto ai 300 milioni di euro di risarcimento ancora congelati sull’altra copertura assicurativa che era stata sottoscritta da Aspi per la rete autostradale, quella di tipo all risk (property). Una polizza dove erano confluite alcune opere strategiche per la società, come i grandi viadotti, compreso il Ponte Morandi, e su cui il contenzioso è tutt’altro che risolto con le posizioni tra le parti che restano distanti.
Gli assicuratori, con la svizzera Swiss Re Corporate Solution come capofila, sono convinti che il sinistro non debba essere rimborsato. Il fatto, sostengono in sintesi, è che se avessero saputo delle falle costruttive presenti nel Ponte Morandi non avrebbero stipulato quella polizza. Un po’ come per una copertura assicurativa salute sottoscritta da una persona già malata, che ha tenuto nascoste le sue condizioni al proprio assicuratore. Mentre di converso da Aspi, che tra ricostruzione del ponte, risarcimenti a famiglie e imprese ha già speso circa 700 milioni, sono pronti a dimostrare che, anche utilizzando le tecnologie più avanzate, quel difetto non sarebbe stato rilevabile prima del crollo del ponte, costruito tra l’altro negli anni 60 e gestito per quasi 40 anni dallo Stato (tramite Anas). A supporto della loro tesi portano le risultanze del secondo incidente probatorio, che si è concluso a fine febbraio, con la perizia del Giudice che ha considerato il difetto di costruzione.
Come uscirne? L’obiettivo delle parti coinvolte sembra essere di evitare il contenzioso anche se a oggi non c’è ancora nessuna proposta concreta di transazione. I contatti fra le controparti si sarebbero intensificati anche a settembre, con la richiesta da parte di Swiss Re di informazioni e documenti aggiuntivi ad Autostrade. Intanto procede l’iter burocratico per il passaggio del controllo di Aspi da Atlantia alla cordata guidata da Cdp Equity (con Macquarie e Blackstone), con il closing atteso tra dicembre e gennaio. Nell’accordo preliminare siglato lo scorso 11 giugno tra Atlantia e il consorzio Cdp-Blackstone-Macquarie è previsto che la prima, nel caso si presentino richieste di danni indiretti successivi alla cessione di Aspi, co-gestirà tali richieste e potrà farsene carico fino a un massimo di 450 milioni circa. Dal canto suo Aspi (o Cdp se dopo il closing) dovrà ad Atlantia gli importi derivanti dalla polizza All Risk. In pratica, se la trattativa con gli assicuratori guidati da Swiss Re andrà a buon fine, ad averne un vantaggio diretto sarà Atlantia, che si farà però carico di nuove eventuali richieste di risarcimento per il ponte, fino al tetto dei 450 milioni. (riproduzione riservata)
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