di Luca Gualtieri
La finanza italiana è entrata in una fase di profondi rimescolamenti, non solo per quanto sta accadendo sull’asse Mediobanca-Generali, ma anche per le inedite alleanze che negli ultimi mesi sono maturate fra centri di potere rimasti sinora lontani. Se è presto per prevedere gli esiti di questi sommovimenti, di certo alcuni soggetti si stanno guadagnando un ruolo di primo piano. Non è per esempio sfuggito al mercato l’attivismo della Fondazione Crt che è entrata con decisione in alcune delle partite più calde. Un attivismo che, a dar credito ai rumor delle ultime settimane, vedrebbe nel segretario generale Massimo Lapucci l’abile regista a fianco del presidente Giovanni Quaglia. Sia chiaro. Lapucci non è certo una new entry della finanza italiana. Romano, classe 1969, laurea in Economia alla Sapienza, il manager frequenta istituzioni e grandi quotate ormai da un lustro abbondante, anche se la sua carriera è rimasta legata alla fondazione torinese. All’incarico di segretario generale del resto è arrivato quasi dieci anni fa raccogliendo il testimone di Angelo Miglietta quando alla presidenza sedeva Andrea Comba. Già allora peraltro il 42enne Lapucci era tutt’altro che uno sconosciuto, avendo all’attivo diversi incarichi come quello di vice segretario generale della Fondazione Sviluppo e Crescita. Ma è stato soprattutto negli anni successivi che ha saputo costruire il proprio network. Solo l’elenco dei board in cui ha seduto o siede riempie un paio di pagine: si va da Ferrovie alla galassia Benetton (Schemaventotto e Atlantia), dall’orbita di Leonardo Del Vecchio (Beni Stabili) fino alla Caltagirone spa, senza trascurare istituzioni come il prestigioso European Foundation Centre di Bruxelles (di cui è presidente) o l’Enciclopedia Treccani e intermediari finanziari del calibro di Banca Generali. Sebbene in molti di questi cda Lapucci abbia lavorato come indipendente, è difficile dubitare che in quelle sedi siano nate alleanze di ampio respiro. Non a caso oggi Caltagirone, Del Vecchio e Crt si ritrovano alleati nella battaglia per le Generali. I due imprenditori e la fondazione torinese hanno infatti fatto confluire le proprie partecipazioni nella compagnia triestina in un patto che attualmente blinda il 13,3% del capitale. Se gli acquisti di Caltagirone e Del Vecchio procedono serrati settimana dopo settimana, gli occhi sono puntati sulla famiglia Benetton che potrebbe presto rompere gli indugi e unirsi ai pattisti con il proprio 3,9%. Le strade aperte sono ancora molte: i frondisti potrebbero trovare all’ultimo un’intesa con Mediobanca sul nuovo consiglio di amministrazione e soprattutto sulla figura del ceo; oppure potrebbero correre da soli all’assemblea del 2022. Quali che siano gli esiti della partita, è indubbio comunque che a Trieste sia in atto un’inedita convergenza di interessi. Attribuire il merito di questa convergenza soltanto a Lapucci sarebbe eccessivo, ma in molti vedono nel riservato manager romano il punto di contatto tra mondi diversi, accomunati dall’ambizione di lasciare il segno nella finanza italiana. (riproduzione riservata)
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