di Marco Lamandini
Il vivace scontro d’opinioni sulla «vicenda Generali», in particolare la formazione e presentazione di una lista del cda per il rinnovo dell’organo in scadenza, sollecita alcune riflessioni. C’è una certa ritrosia dei regolatori a prendere posizione esplicita su meccanismi e procedure di selezione in concreto degli esponenti aziendali da parte dei soci. È un aspetto che colpisce l’attenzione «per differenza», considerando come i regolatori si pongono rispetto a quasi ogni altro aspetto del governo societario, tra cui quello della profilatura in astratto dei componenti degli organi. Non che manchino esortazioni prudenziali e raccomandazioni di principio a favore di modalità di nomina trasparenti e rappresentative nelle disposizioni di vigilanza di Bankitalia. Né mancano rigorose linee applicative sulla rispondenza dei componenti del cda ai molteplici requisiti quali-quantitativi richiesti dalla disciplina prudenziale. Tutto ciò è utile a far progredire la cultura di buon governo societario delle banche.
Resta una domanda: c’è un «cono d’ombra» prudenziale su come si possa assicurare al meglio che le logiche di scelta in concreto dei candidati siano non solo rispettose dei requisiti di integrità, professionalità e diversità imposti dalla disciplina, ma anche virtuose, sotto il profilo sia della trasparenza dei processi di selezione sia dell’effettiva valutazione comparativa delle migliori professionalità disponibili sul mercato, in modo da contrastare processi opachi di scelta degli esponenti aziendali?
L’autonomia statutaria conosce da tempo, in Italia e fin dall’esperienza normativa in tema di privatizzazioni nei primi anni ‘90, la previsione di meccanismi di voto di lista accompagnati dalla possibilità per il cda di presentare una lista. Si tratta di previsioni variamente conformate negli statuti. Ne offrono interessanti esempi, nel contesto finanziario, oltre allo statuto di Generali, quelli di Unicredit e di Mediobanca; Bper aveva tale previsione in statuto fino alla riforma del 2020. Diversi studiosi italiani di diritto societario hanno valutato non solo legittima ma anche opportuna la previsione statutaria della lista del board. Questa meritoria esperienza di mercato non meriterebbe forse di essere ulteriormente valorizzata in ottica prudenziale? La questione si pone perché i soci che presentano le liste «lunghe» non seguono in genere metodi trasparenti, competitivi e proceduralizzati per individuare e selezionare i candidati. Esercitano in modo discrezionale una facoltà di scelta che l’ordinamento societario riconosce al socio, senza ricollegarvi alcuna responsabilità.
Quale sarebbe il vantaggio di fissare il principio secondo cui per le banche a proprietà non concentrata e con azioni quotate – alle quali si applica il meccanismo del voto di lista – il cda uscente sia tenuto a presentare, da solo o insieme ad alcuni soci (se c’è consonanza di vedute) una propria lista, concorrente con quelle proposte dai soci e ovviamente non collegata con nessuna di esse? Il vantaggio sta nel creare un benchmark di mercato per la competizione nel rinnovo delle cariche, in cui la lista del cda – a differenza di quelle predisposte dai soci – costituisce esercizio di una competenza soggetta a canoni di perizia e diligenza propri della gestione societaria. In tal modo tale competenza va esercitata (come già avviene nei casi in cui quella lista del consiglio è prevista dagli statuti di banche italiane) mediante processi trasparenti di ricerca competitiva, di valutazione comparativa e di ponderata valutazione collegiale a livello di comitato nomine e di plenum (che può tener conto degli obiettivi strategici di medio e lungo periodo, quali almeno definiti dal consiglio uscente). La scelta dei candidati, inoltre, si pone in consonanza piena con la valutazione quali-quantitativa ottimale della composizione del consiglio che questo è tenuto a fare.
Non è detto che nella competizione assembleare tra liste, quella del cda risulti sempre vittoriosa. Non è auspicabile che ciò accada, dal momento che il nostro ordinamento riconosce le virtù della contendibilità del controllo. Ciò che invece è auspicabile è che le grandi banche possano beneficiare di una competizione aperta e trasparente nel rinnovo alle cariche sociali e che i soci influenti promotori di «liste lunghe», ispirati dall’esempio della lista del cda, trovino un importante incentivo di mercato ad allargare gli orizzonti di scelta dei candidati oltre gli angusti confini dei vincoli di contiguità territoriale o d’interessi. (riproduzione riservata)
*ordinario di Diritto Commerciale
Alma Mater Studiorum
Università di Bologna
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