MEDIOBANCA LA MERCHANT CERCA SPONDE MENTRE DEL VECCHIO INCALZA DOPO IL RAFFORZAMENTO DEL PATTO NAGEL POTREBBE ATTIVARE IL NETWORK ITALIANO E FRANCESE. INTESA E UNICREDIT PER ORA RESTANO ALLA FINESTRA
Luca Gualtieri
Quella di Mediobanca è una storia di alleanze. Così è stato per l’istituto guidato da Enrico Cuccia che seppe coltivare un network che andava dalla Comit del mentore Raffaele Mattioli alla Lazard di André Meyer passando per big del calibro di Lehman Brothers e Commerzbank, ma anche per il gruppo lasciato in eredità ai successori. Basti pensare alla scelta fatta dal delfino Vincenzo Maranghi dopo la scomparsa del banchiere siciliano: dal 2001 il fronte dei soci francesi iniziò ad allargarsi grazie agli acquisti di Vincent Bollorè, Bnp Paribas, Serge Dassualt e Groupama. Una compagine che, nelle intenzioni dell’amministratore delegato, avrebbero dovuto bilanciare il peso sempre più insidioso degli azionisti italiani, a partire dall’Unicredito e dalla Banca di Roma. Non una novità assoluta comunque visto che la special relationship con Parigi ha sempre giocato un ruolo chiave nella governance di Mediobanca e della partecipata Generali. Non per caso fu proprio a una banca di passaporto americano ma di radici e cultura francesi come Lazard che per un quarto di secolo Cuccia affidò il 5% del Leone custodito da Euralux.

Oggi Mediobanca è di nuovo alla ricerca di alleati. Il momento non potrebbe essere più delicato per l’istituto milanese con Leonardo Del Vecchio attestato al 18,9%, Francesco Gaetano Caltagirone proiettato al 5% e una battaglia senza esclusione di colpi in corso sul nuovo vertice di Trieste. Se l’assemblea del Leone è ancora lontana, Mediobanca ha già schierato diversi pezzi sulla scacchiera. Giovedì 30 settembre per esempio l’accordo parasociale che custodisce il 10,2% di piazzetta Cuccia è stato puntellato dopo la disdetta presentata dai Benetton: alla chiamata alle armi hanno risposto le storiche famiglie Lucchini (0,53%) e Gavio (0,77%) con un arrotondamento delle quote, mentre nella compagine sono entrati per la prima volta i Monge con il loro 1,09%. Fonti vicine al patto ipotizzano anche un rafforzamento di alcuni soci esterni spendendo i nomi di Unipol e Bolloré. Con Mediobanca la compagnia guidata da Carlo Cimbri ha un legame solido, certificato non solo dalla ricostruzione di una quota nel capitale della merchant (1,9%) ma anche dalla comune militanza nella governance dello Ieo Monzino (di cui proprio Cimbri è presidente). Difficile però dire se questo sodalizio si tradurrà in un incremento sostanziale della partecipazione, anche alla luce del potenziale conflitto di interessi con le Generali su cui qualche socio potrebbe puntare l’indice. Quanto a Bolloré, va detto che il finanziare bretone (fuori dal patto dal 2019) è stato sinora assorbito in altre roventi partite e ha ridotto la quota in Mediobanca sino all’attuale 2,1%. Un’inversione di marcia non può però essere esclusa, specie se si inserisse in un più ampio processo di riavvicinamento tra Piazzetta Cuccia e la finanza francese. Occorre premettere che, a questo punto, si entra nel scivoloso territorio delle speculazioni e di speculazioni l’entrata in scena di Bnp Paribas ne sta alimentando parecchie. Nei giorni scorsi è emerso infatti che la banca francese guidata da Jean-Laurent Bonnafé avrebbe strutturato il prestito-titoli che ha proiettato Mediobanca al 17,2% di Generali (inizialmente si era ipotizzato un coinvolgimento della Goldman Sachs che però non si è concretizzato). Un pacchetto di quelle azioni, ha riportato Repubblica, potrebbe essere di proprietà di Axa, il colosso assicurativo francese che ha come numero due l’ex general manager di Trieste Frédéric de Courtois. Questa seconda parte della ricostruzione non ha trovato riscontri ma è stata sufficiente per eccitare gli animi tra Milano e Roma. Un ballon d’essai? Forse. Vero è che, complice la forte ripresa dell’economia e l’indiscussa credibilità del governo Draghi, negli ultimi mesi diversi intermediari finanziari francesi si sono riaffacciati con interesse al mercato italiano e, attraverso i canali della diplomazia, avrebbero iniziato a saggiare il terreno in cerca di opportunità. Non sembra che i primi tentativi abbiano sortito effetti, ma i radar del Copasir e di altre istituzioni sono in funzione. Quel che è certo è che, settimana dopo settimana, il raggio dello scontro sull’asse Mediobanca-Generali si va allargando. Dopo la spaccatura del cda della compagnia sulla conferma di Donnet, martedì 28 settembre Del Vecchio ha spostato il confronto in Piazzetta Cuccia chiedendo una serie di modifiche allo statuto. Delfin, ben consigliata dall’avvocato Sergio Erede, propone di eliminare il requisito statutario secondo cui tre amministratori devono essere dirigenti di Mediobnca da almeno tre anni e di alzare il numero degli amministratori di minoranza, con la previsione che più liste possano concorrere alla nomina di tali amministratori. I toni usati da Del Vecchio sono fermi ma accomodanti ed escludono (almeno a breve) ribaltoni: Delfin, spiega la holding, «non prevede né intende revocare l’attuale cda prima del termine del suo mandato». La proposta inoltre, «non persegue lo scopo di sostituire gli attuali amministratori o manager della banca, quanto piuttosto quello di assicurare che, d’ora in avanti, questi operino all’interno di un quadro di regole di corporate governance coerente con le best practice e siano fortemente incentivati a porre al centro la creazione di valore per tutti gli azionisti, lasciando al consiglio di amministrazione e agli azionisti, come accade in qualsiasi altra società, il diritto di decidere in ultima istanza chi debba gestire la banca», conclude Delfin. Richieste insidiose perché, se da un lato sposano logiche care agli investitori istituzionali (che restano pur sempre gli stakeholder di maggioranza di piazzetta Cuccia), dall’altro lato minacciano di scompaginare gli equilibri del board. Decisivo sarà il responso di Bce che l’anno scorso ha posto paletti precisi a Delfin, precludendone ogni iniziativa unilaterale su governance e strategia, e che continua a monitorare con grande attenzione la vicenda. Si mormora comunque che nel corso dell’estate l’entourage di Del Vecchio abbia preso contatto con l’autorità di vigilanza, ricevendone un preventivo sebbene non definitivo nulla osta. Quanto a Caltagirone, l’imprenditore romano preferisce per ora mantenere un profilo molto basso sulle vicende societarie di Mediobanca di cui pure detiene almeno il 3%. «La nostra partita rimane solo quella su Generali», spiega una fonte. Una posizione che potrebbe essere mantenuta anche nel corso dell’assemblea del prossimo 28 ottobre. Per averne la certezza però bisogna attendere il prossimo 8 ottobre, termine ultimo per la presentazione delle integrazioni all’ordine del giorno. Traguardando la scadenza del 28, sarà poi interessante capire se e come si muoveranno soggetti rimasti sinora all’esterno della partita. Le due maggiori banche italiane per esempio sono sinora rimaste alla finestra. Non è un mistero però che il legame tra Intesa Sanpaolo e Mediobanca è solido e che il dossier Generali è da tempo nel radar dell’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel. Nuovi alleati in vista per i duellanti? Si vedrà. (riproduzione riservata)

Fonte: